L’antica città di Hasankeyf, nella provincia turca a maggioranza curda di Batman, sta per scomparire sotto a un lago artificiale, malgrado dal 1981 sia stata inserita fra le aree naturali protette del paese. Da circa due settimane, infatti, il sito viene inondato per la realizzazione della diga di Ilisu nell’ambito di un piano di «sviluppo» dell’Anatolia sudorientale.

L’imponente progetto Gap – avviato alla fine degli anni ’70 e continuamente interrotto anche a causa della rinuncia di rilevanti investitori europei, contrari alla distruzione del patrimonio storico-archeologico – concerne una superficie di 313 chilometri quadrati, che sommergerà con 10 miliardi di metri cubi d’acqua quasi 200 villaggi, costringendo una vasta popolazione a spostarsi. Anche i numerosi turisti, prevalentemente locali, che solevano recarsi nella regione saranno privati di questo scorcio di Mesopotamia ricchissimo di testimonianze del passato.

A essere in pericolo non sono solo le vestigia ma anche la memoria di genti che affondano le proprie radici in una composita stratificazione di civiltà. Prima di essere occupata dagli Assiri (IX-VII secolo a.C.) e dai Medi (metà VI secolo a.C), nella tarda età del Bronzo Hasankeyf era compresa nel regno di Mitanni (XIV secolo a.C.).

Ma, se la sua identificazione con Ilansura, un’importante città fortificata menzionata nelle tavolette accadiche di Mari (II millennio a.C.) dovesse dimostrarsi corretta, le sue origini rimonterebbero al Bronzo medio. I Romani ne riconobbero la posizione strategica, alla frontiera con l’impero Sasanide, e vi installarono un campo militare.

Nel IV secolo d.C., Cepha – questo il toponimo latino – divenne la capitale della provincia romana dell’Arzanene e qui Costanzo II costruì un forte, sebbene non sia possibile reperire tracce di tale struttura nell’attuale cittadella di Hasankeyf. Con la sconfitta dell’imperatore Giuliano nella battaglia di Samarra del 363, il successore Gioviano dovette cedere gran parte del territorio al re persiano Sapore II.

Tuttavia, Cepha sfuggì al controllo dei Sasanidi e alla fine del IV secolo la Notitia Dignitatum la ricorda quale sede del comando della Legio II Parthica creata da Settimio Severo. La partecipazione del vescovo di Cepha al Concilio di Calcedonia nel 451 dimostra che in quel periodo l’insediamento si era ingrandito.

Scavi archeologici di salvataggio effettuati tra il 2005 e il 2008 hanno messo in evidenza il basamento di una porta romana nella città alta di Hasankeyef, oltre che pavimenti, mosaici murari e una serie di botteghe. Stando alla Descriptio Orbis Romani del geografo Giorgio Ciprio, Kiphas (ormai caduta in mano bizantina e per questo conosciuta col nome greco), mantenne la funzione di città fortificata anche nel VII secolo.

Alla conquista arabo-musulmana del 630 seguirono i califfati ommayade e abasside. Dal 1102 in poi Artuqidi, Ayyubidi, Mongoli e la federazione turcomanna degli Aq Qoyunlu si sono succeduti su queste terre, fino all’arrivo degli Ottomani intorno al 1514/1517.

Della dinastia artuchide restano oggi le rovine del ponte sul Tigri – punto di passaggio per coloro che percorrevano la Via della Seta – e del Grande Palazzo, al quale era associata una torre di avvistamento. Agli Ayyubidi si deve invece la costruzione di diverse moschee, tra cui quella di Kizlar (1409), recentemente spostata in un «parco archeologico» creato ad hoc a qualche chilometro di distanza.

Stesso destino era toccato nel 2017 al mausoleo di Zeynel Bey, eretto dal sovrano Uzun Hassan della dinastia degli Aq Qoyunlu per commemorare il figlio morto in battaglia nel 1473. Anche in quell’occasione, gli abitanti di Hasankeyf avevano accompagnato impotenti il viaggio di questo monumento tipico dell’architettura dell’Asia centrale, sormontato da una cupola e rivestito da piastrelle blu e turchesi.

Lo sperone roccioso su cui si adagia la Cittadella e dal quale si domina la distesa di piccole grotte scavate nella roccia che per millenni, e fino a tempi recenti, hanno ospitato uomini e bestiame, sarà l’unico lembo di Hasankeyf a non essere raggiunto dall’invadenza della diga di Ilisu.

Il resto finirà assieme al bagaglio identitario delle comunità siriache e arabo-cristiane che in questo luogo hanno convissuto pacificamente prima che lo scoppio del conflitto tra il governo turco e il Pkk nel 1980 provocasse una massiccia emigrazione verso l’Europa.