Tra l’infuriare del Coronavirus e i colpi di scena delle primarie, il caso di Harvey Weinstein è diventato una postilla della tempesta mediatica. Già quel suo «processo del secolo», che nell’incalzare delle altre news si è poi invece tenuto quasi sotto tono, rifletteva come l’ex burattinaio degli Oscar fosse, oltre che perseguito dalla giustizia, un uomo finito, superato dai tempi che hanno riconfigurato l’industria hollywoodiana e il clima culturale del paese.
Ieri mattina – condannandolo a 23 anni di carcere – il giudice della Corte Suprema di New York James Burke ha messo una lapide su qualsiasi «secondo atto» avesse in mente il produttore di Shakespeare in Love e Pulp Fiction. Prendendo la parola per la prima volta nell’arco del processo, in un breve discorso abbastanza confuso, Weinstein ha professato rimorso («sono dispiaciuto nel profondo del mio cuore»), e ha affermato di essere stato convinto che tra lui e Miriam Haley e Jessica Mann – vittime dei crimini di stupro per cui è stato condannato – ci fosse «una vera amicizia».

HA CHIESTO scusa alle sue due ex mogli per averle tradite, si è detto «in un certo senso preoccupato per il paese» e per «migliaia di uomini a cui non è riconosciuto il giusto processo» e ha promesso che d’ora in poi, la sua missione – presumibilmente da un carcere dello stato di New York non ancora identificato – sarà quella di «aiutare gli altri».
«Oscena», è stato invece l’aggettivo che il suo avvocato difensore, Donna Rotunno, ha usato per definire l’entità della condanna. «È ridicolo. Si tratta di una pena assurda. Ci sono assassini che usciranno di prigione prima di Harvey Weinstein. È un numero che riflette la pressione dell’opinione pubblica e del movimento. Non le prove emerse dal processo, le testimonianze o la giustizia». Date le precarie condizioni di salute del sessantasettenne Weinstein (che durante il processo è apparso molto invecchiato e fragile) ha detto ancora Rotunno, la sentenza si tradurrà in un ergastolo. Miriam Haley e Jessica Mann, presenti in aula, hanno rilasciato dichiarazioni che auspicavano una sentenza molto dura.

IN RISPOSTA a quella sentenza, #Times Up ha dichiarato: «Speriamo che queste donne siano orgogliose dell’impatto che hanno avuto sulla nostra cultura in senso lato. Ispirando altri ’sopravvissuti’ a farsi avanti, cambiando il modo in cui il sistema giudiziario reagisce alle accuse di violenza sessuale, responsabilizzando i vertici dei consigli d’amministrazione».