L’uragano Harvey non smette di avere impatti negativi sul Texas: è esploso un altro incendio in un impianto chimico di Crosby, alle porte di Houston.

Le inondazioni provocate da Harvey hanno mandato in tilt gli impianti di raffreddamento e il litorale di Houston rischia ora di diventare una pericolosa bomba inesplosa visto il numero di impianti chimici, raffinerie di petrolio e gas, impianti per la produzione di combustibili fossili.

Stando a quanto dichiarato dal National Response Center della guardia costiera, arrivano decine di telefonate che segnalano fuoriuscite di benzina, petrolio e agenti contaminanti.

Il numero dei morti è ora salito a 47, più di 100mila persone hanno chiesto aiuto attraverso i servizi per l’emergenza immediata e si parla di decine o centinaia di migliaia di case danneggiate. E l’emergenza è appena iniziata.

Il governo federale per la risposta all’uragano sta finendo i soldi molto più velocemente di quanto la Casa bianca stimasse, spingendo l’amministrazione Trump a riorganizzare la richiesta di finanziamento dell’emergenza. La Casa Bianca ha fatto una richiesta formale di 7,85 miliardi di dollari come anticipo per gli aiuti per le aree devastate, due miliardi in più rispetto a quanto stimato.

È invece scomparso nel nulla il milione di dollari promesso da Trump come sua donazione personale al Texas; ai giornalisti che facevano domande circostanziate su come sarebbe elargita questa somma, se tramite fondazione o altro, la portavoce del presidente, Sarah Huckabee Sanders, ha svicolato non fornendo alcuna risposta.

Trump e sua moglie sono comunque tornati nelle zone colpite, ripetendo lo stesso copione della visita precedente, con grande profusione di tweet in cui il presidente elogia la sua amministrazione per come sta gestendo l’emergenza, una visita più raccontata che effettivamente agita.

La gestione delle emergenze è la grande prova in cui i presidenti o affondano o spiccano il volo e al momento Trump sta galleggiando. Ha dunque bisogno di tornare a farsi vedere al controllo e vicino al territorio, specie se quel territorio è il Texas, roccaforte repubblicana.

Purtroppo la parte difficile della gestione comincia ora e durerà mesi: riguarda lo stanziamento dei fondi per la gestione e la ricostruzione. Con un’emergenza di queste proporzioni, dove tirerà fuori, Trump, i soldi per costruire il costosissimo muro col Messico? Come reagirebbero i texani nel vedersi senza casa né lavoro ma con una bella staccionata al confine?

Il problema è che Trump ha bisogno di quel muro, che sarebbe la prima promessa elettorale parzialmente mantenuta, visto che era stata fatta per i primi 100 giorni di governo.

Fino ad ora non ha compiuto nessuna azione proattiva, ma ha solo smantellato le azioni del suo predecessore e questo per adesso è bastato a non alienarsi la base poco numerosa che lo sostiene e che pensa che Obama abbia portato l’America in una direzione aliena.

Veder cancellate le regolamentazioni per limitare le trivellazioni, razionare l’utilizzo delle risorse idriche, proteggere l’ambiente e ridurre il riscaldamento globale, per quella base al momento è stato sufficiente per restare fedeli al presidente. E Trump ha bisogno di loro, più che dei suprematisti bianchi, più facili da accontentare in quanto bisognosi solo di legittimazione politica.

Questa parte di elettorato, invece, gli ha fatto guadagnare il credito politico necessario a essere presidente ma chiede di più, non si intende di economia e prima o poi vorrà davvero il muro col Messico o la cacciata di tutti gli illegali, anche se coinvolge i Dreamer, tutte quelle persone arrivate da bambini in Usa insieme a genitori illegali, e cresciuti in America.

A loro Obama aveva riconosciuto loro il diritto di cittadinanza, di restare nell’unico Paese che conoscono, dove hanno studiato e dove ora lavorano, ma la loro espulsione è nei programmi di Trump.