Se un micio vuole sdebitarsi per un favore ricevuto, sarebbe meglio starne alla larga. Difficile bloccare un felino nel bel mezzo di un suo progetto: non è poi così domestico come si dice e forse è giunta l’ora di cambiare aggettivo. È preferibile allora non entrare in contatto con la parte più selvatica e non addomesticabile dei gatti, che somigliano in maniera sconvolgente agli adolescenti con il loro muoversi indifferente, in cerca di indipendenza e con rabbie improvvise? Non è questo ciò che pensa alla fine Haru, ragazza diciassettenne che conduce una vita piuttosto piatta, senza molti talenti scolastici né direzioni luminose davanti a sé. Dopo innumerevoli avventure, sarà felice di aver nutrito, da piccola, una gattina bianca orfana e affamata e, da grande, di aver salvato un grigio ed elegantissimo felino dalle ruote di un camion impazzito. I fili del suo destino si ricongiungeranno e nulla sarà più come prima. Nelle filosofie orientali non esistono gesti insignificanti.

La ricompensa del gatto, il film d’animazione del 2002 diretto da Hiroyuki Morita (già animatore di Kiki, consegne a domicilio, Akira, Lupin III e key animator della serie My Neighbors The Yamadas), prodotto dallo Studio Ghibli, sarà sugli schermi italiani per due giorni, il 9 e 10 febbraio, distribuito dalla Lucky Red. La storia catapulta in primo piano due personaggi minori dei Sospiri del mio cuore (1995, regia di Yoshifumi Kondo e scritto da Hayao Miyazaki): uno è la statuetta «Cat Baron», che qui si anima diventando l’elemento risolutore con la sua saggezza in punta di zampe, e l’altro il grassissimo micio Muta, burbera creatura dal passato oscuro e il cuore d’oro. Uno spin off che non sfoggia nessun altro legame con l’opera precedente, se non il fatto che entrambe sono ispirate ai manga di Aoi Hiiragi.

la-ricompensa-del-gatto-20
La teenager Haru viene presa di mira da una eccentrica popolazione di gatti, pronti a rapirla pur di farla sposare con il loro principe, lo stesso a cui lei ha salvato la pelle mentre attraversava la strada, flemmatico e distratto dai suoi pensieri d’amore. La sua sarà un’azione densa di conseguenze, perché sudditi e re vorranno ricompensarla, ma a modo loro: prima la sua casa sarà invasa dall’erba gatta, poi verrà inseguita da schiere feline e il suo armadietto di scuola infestato da topi-dono. Infine, verrà portata via, in una terra incantata dove a comandare sono capricciosi mici-dittatori. A tirarla fuori dai guai, dovranno arrivare i rinforzi, Baron, Muta e il corvo Toto. In quel regno dei gatti, lontano e misterioso, Haru si trasforma: un po’ Alice nel paese delle meraviglie, un po’ Pinocchio, assume via via sembianze animalesche perché devia dal suo tempo interiore, tentenna, non sa orientarsi nelle sue emozioni. La crisi si manifesta come una perdita di identità e uno sbilanciamento a favore del mondo non umano: tornerà una ragazza, senza più orecchie e baffi né linguaggio «gattese» quando saprà affrontare il rischio di crescere e di camminare nella realtà a testa alta, senza seguire le orme di nessuno. Prima, però, avrà assistito al crollo della Torre della salvezza che si erge sopra alle macerie del «labirinto del passato»: verrà giù, con un’esplosione che incrocia l’immaginario della bomba atomica e quello delle Twin Towers. Non a caso, il film è del 2002.

s05VISDXapertura23c23.0001
Il Giappone deve nutrire una vera e propria ossessione verso i felini. Nel romanzo di Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia (pubblicato nel 2002, stesso anno di uscita del film di Morita), c’è un vecchio con un animo fanciullesco che sa parlare con i mici, mentre nel libro Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi (2001), a rianimare i rapporti di una coppia sposata sarà un’autoinvitata in famiglia come la gatta Chibi.

Nelle stampe di Utagawa, maestro dello stile ukiyo-e (mondo fluttuante), i felini sono i protagonisti principali, magici mediatori fra mondo celeste e terrestre grazie al loro corpo flessuoso e ai modi distaccati; a volte danzano, altre suonano, si incontrano in banchetti luculliani, se ne stanno appisolati al sole, esattamente come il signor Muta, il gattone bianco che da criminale ricercato è diventato un combattente per la libertà nel film dello studio Ghibli.

La ricompensa del gatto è un fantasy, certo, ma in Giappone quel paese tutto abitato da felini autorganizzati esiste davvero: è l’isola Tashirojima dove a sparuti pescatori che se ne prendono cura corrispondono frotte di mici che non disdegnano mettersi in fila e accompagnare gli umani nelle loro passeggiate.