Al confine sud tra Stati uniti e Messico, a El Paso, in Texas, la vicepresidente Usa Kamala Harris ha cercato un difficile equilibrio tra il messaggio espresso in Centroamerica dell’«aiutiamoli a casa loro», la necessità di superare le separazioni familiari alla frontiera, le accuse di confini troppo aperti dei repubblicani e quelle diametralmente opposte di poca umanità con i migranti da parte della sinistra democratica.

All’area socialista non è piaciuta la scelta di Harris di non visitare un centro per gli illegali a Fort Bliss, descritto come un luogo dove vengono perpetrati abusi.

D’altro canto il Gop ha dichiarato che la visita della vicepresidente arriva troppo tardi, quando la situazione degli illegali negli Stati uniti è nuovamente fuori controllo.

«Per venire al confine ha aspettato che lo attraversassero mezzo milione di clandestini – ha dichiarato il senatore del Texas Ted Cruz senza fornire le fonti dei dati – che fossero intercettate 400mila libbre di droga, che 19 senatori visitassero il muro prima di lei. Le ci sono voluti 92 giorni dalla nomina a zar del confine».

Harris, nominata da Biden responsabile della crisi dei migranti, è arrivata in Texas con il ministro per la Sicurezza interna Alejandro Mayorkas, cercando di dare alla sua visita un approccio operativo e ha incontrato, oltre alle autorità, attivisti che di occupano di immigrati.

Ha fatto una sosta non prevista al porto di ingresso di Paso Del Norte, ponte internazionale che collega El Paso e Ciudad Juárez, dove sono detenute cinque ragazze centroamericane tra i 9 e i 16 anni. Secondo i media statunitensi, circa 1.600 bambini sono ospitati in rifugi dell’esercito americano a El Paso.