Sismografo accelerato a Pistoia sotto le vaghe stelle del blues. Che risparmiano la pioggia e accendono la piazza. Apertura degna per la trentaquattresima edizione di Pistoia Blues, che avrà dissipato arie e fumi anni 80/90, fra tamburi nella notte, bancarelle assortite, tappetini e collanine, reduci capelluti, fughe indiane e nostalgie love and peace, ma conserva intatto il fascino e il calore del grande repertorio. Il flusso continua senza se e senza ma: oltre la crisi, i bilanci contratti, i contributi ridotti, il domani incerto. La festa ordita da Giovanni Tafuro ancora una volta è servita come meglio non si potrebbe.

Se poi il sigillo arriva da Ben Harper che al termine del concerto d’apertura, davanti a oltre 4mila persone in delirio, certifica Pistoia Blues «il più grande festival del mondo» vorrà pur dire che non si è lavorato invano. Il chitarrista californiano torna in Italia dopo le quattro date del 2012 e sceglie Pistoia (esclusiva italiana) per l’anteprima del nuovo tour europeo che toccherà Austria, Belgio, Svizzera, Inghilterra. L’occasione è d’oro. L’uscita per la Stax Records del suo nuovo lavoro discografico (il 12esimo, il primo dopo la risoluzione del contratto con la Virgin) intitolato Get Up!, una dozzina di tracce «profonde» dedicate alla musica delle radici, fra incandescenti venature blues, sottili incarnati gospel, delicate ballate country, laceranti fenditure rock, alla ricerca di sonorità black, nel cuore di uno sperimentalismo che ricuce antiche memorie e traiettorie.

L’album è anche una sorta di scommessa vinta. O forse di un desiderio appagato. La collaborazione e il contributo geniale, voce e fisarmonica, davvero un tuffo indietro fra le vague del Mississippi, di Charlie Musselwhite, solco limpido del blues, magnifico esemplare bianco e veterano del festival pistoiese.Harper, come sempre elegante nel suo dinamismo controllato, anche quando lo strumento elettroacustico dipana sensazionali arpeggi e evoca rapide panoramiche, in piedi chitarra al collo, seduto chitarra sulle ginocchia, ruba e chiama a raccolta tutta la sua gamma incendiaria che era già stata di Diamonds on the inside (reggae, american rock, folk, pop) fraseggiata in magnifica sintonia con l’idioma blues del suo compagno d’avventura.

Con il contributo di musicisti di rango, Grady Barnes e Jason Mozersky (chitarre), Jesse Ingalls (basso) e Jimmy Paxson (batteria), scorrono lungo le quasi due ore del concerto tutti i pezzi dell’album, da I dont’t believe… al titolo portante Get Up, dalla ballabilissima You Found Another Lover alla trascinante Don’t Look Twice. E dopo una breve pausa e una sortita di Ben in proscenio per una intonazione a cappella, voce nuda nello spazio della piazza silenziosa, il finale con All That Matters Now. E stasera tocca a Steven Wilson, il leader del Porcupine Tree, e al progrock dei Van Der Graaf Generator di Peter Hammil, Hugh Banton all’organo e Guy Evans alla batteria.