Saad Hariri appena giunto ieri all’aeroporto del Cairo proveniente da Parigi si è precipitato ad incontrare il presidente-dittatore egiziano, Abdel Fatah al Sisi, per preparare il suo rientro oggi a Beirut. Un rientro carico di quella tensione che lo stesso premier libanese ha innescato lo scorso 4 novembre quando da Riyadh – sotto l’ala di re Salman e dell’erede al trono Mohammed, i suoi padrini politici – ha dato le dimissioni gettando all’improvviso il suo Paese in una crisi gravissima. Oggi è il settantaquattresimo anniversario dell’indipendenza del Libano, giorno di parate e cerimonie ufficiali, e Hariri vuole tornare a casa indossando l’abito del patriota che afferma di essere mentre lancia pesanti accuse all’Iran e al movimento sciita Hezbollah. Non ci riuscità. La decisione di dare le dimissioni proprio nella capitale saudita ha mostrato quanto Hariri sia legato a doppio filo ai Saud e non solo perché in tasca ha un passaporto saudita. Senza dimenticare che a Riyadh è stato tenuto agli arresti domiciliari – perché, pare, coinvolto nella campagna “anti-corruzione” lanciata dal rampollo reale saudita – e che la sua partenza verso Parigi prima e il Cairo poi, è stata possibile solo grazie all’impegno del presidente francese Macron che ha convinto gli alleati sauditi a lasciarlo andare.

Quali saranno le reazioni in Libano? Si vedranno solo a partire da oggi. Il clima è torrido. La rabbia regna ai vertici di Hezbollah dopo la raffica di accuse pronunciata da Hariri, a cominciare da quella rivolta al movimento sciita di aver pianificato il suo assassinio, poi smentita anche dai comandi militari e dei servizi di sicurezza. Ma è improbabile che il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, decida di andare alla resa dei conti e allo scontro aperto nelle strade contro Hariri e i suoi sostenitori. Sa che finirebbe per fare il gioco del premier dimissionario e dei sauditi, volto a dimostrare che il Libano è nelle mani di Hezbollah e del suo potente sponsor, l’Iran. È più probabile che il movimento sciita scelga di farsi garante della stabilità del Libano di fronte all’incertezza che sta provocando Hariri. Hezbollah e Tehran hanno più interesse a rimarcare l’annuncio fatto due giorni fa della guerra vinta contro lo Stato islamico e il terrorismo jihadista in Siria e in Iraq. Un modo per indicare che l’impegno militare di Tehran e dei combattenti di Hezbollah tenderà scemare in quei due Paesi e a mandare segnali rassicuranti all’opinione pubblica libanese. In questo quadro si deve leggere il comunicato diffuso dall’Esercito libanese per la festa dell’indipendenza, con il quale il comandante in capo Joseph Aoun ha dichiarato lo stato di allerta al sud, chiedendo ai soldati di «vigilare sulle violazioni del nemico israeliano» e di tenere presente che tutti gli scenari sono possibili. Il messaggio politico è chiaro. Non è stato Hezbollah, storico avversario di Israele nel Libano del sud, a fare la voce grossa contro possibili azioni militari di Tel Aviv bensì le forze armate nazionali, a riprova che il movimento sciita non tiene il Paese prigioniero delle sue ambizioni e suoi disegni, anche a rischio di una nuova guerra, come affermano Hariri e re Salman.

E mentre Israele conduce nuove manovre militari in previsione di una guerra che gli analisti ritengono sempre più vicina, la Russia porta avanti altre manovre, diplomatiche, sul futuro della regione mediorientale. A sorpresa il presidente siriano Bashar Assad, alleato di Mosca, è volato a Sochi la località balneare affacciata sul mar Nero, per incontrare Vladimir Putin e dove oggi si svolgerà il nuovo vertice russo-turco-iraniano. Tre ore di colloqui durante i quali Putin si è congratulato con Damasco per i risultati nella lotta ai gruppi terroristici. Dopo il colloquio con Assad, il presidente russo ha informato Donald Trump, con il quale ha raggiunto nei giorni scorsi un nuovo accordo sulla Siria. Accordo che Israele contesta, ritenendolo favorevole alla presenza iraniana e di Hezbollah nei pressi del Golan che occupa dal 1967. Putin ha scelto di puntare con più forza sul presidente siriano ed ha avuto il via libera di Washington. Un ordine delle cose che l’Arabia saudita e suoi sudditi regionali intendono scardinare.