In Libano su Whatsapp gira una battuta: «Lunedì (domani) la fine dell’ora legale riporterà indietro il Libano non di un’ora ma di 27 anni». Il riferimento è alla ormai certa elezione a presidente, da parte del parlamento, dell’ex generale Michel Aoun, 81 anni, capo del movimento politico cristiano dei Liberi Patrioti. Dopo due anni e mezzo, segnati dai veti incrociati e dai boicottaggi reciproci degli schieramenti, il Paese dei Cedri avrà finalmente un presidente. Quasi 27 anni fa Aoun era alla guida del Libano, in uno dei periodi più insanguinati della guerra civile (1975-90), in opposizione alla “pax siriana” che sarebbe stata realizzata qualche anno dopo. Allora lasciò il potere e fuggì a Parigi sotto le bombe. Domani, salvo sorprese, invece Aoun prenderà possesso della presidenza, con l’applauso di Damasco e il pieno appoggio del movimento sciita Hezbollah. Perché Aoun, da quando è rientrato a Beirut nel 2005, è il principale alleato di Hezbollah nel Fronte 8 Marzo (che raggruppa le formazioni libanesi alleate della Siria) e un avversario di Saad Hariri, l’ex premier sunnita, leader del partito Futuro e del Fronte 14 Marzo (sostenuto da Arabia saudita, Usa e Francia). È stato proprio Hariri che, tra lo sbigottimento di gran parte dei libanesi, ha aperto la strada ad Aoun pronunciandosi qualche giorno fa a sostegno della sua candidatura. Semplice ma efficace un titolo del quotidiano al Akhbar: «Hariri sostiene il candidato di Hezbollah». Quelle poche parole riassumono una svolta che segnerà il futuro a breve e medio termine del Libano, Paese spaccato, con la guerra civile siriana che preme alle sue porte orientali, che ospita oltre un milione di profughi siriani (oltre a 400mila rifugiati palestinesi), che ha subito attentati sanguinosi dell’Isis e che vive nell’ansia di una nuova guerra a sud, con Israele.

Dopo la nomina a presidente di Aoun, Hariri riceverà l’incarico di formare un nuovo governo. «Non si commetta l’errore di leggere ciò che sta accadendo come uno scambio politico» avverte l’analista Mouin Rabbani «perché siamo di fronte alla disfatta di Hariri, del fronte 14 Marzo e dei Paesi loro alleati». Il leader sunnita, ci spiega l’analista, «ha condotto per quasi 12 anni, dall’assassinio del padre (Rafiq Hariri, il 14 marzo 2005, ndr) una battaglia contro Siria, Hezbollah e Iran. Ora fa i conti con la realtà, ha capito di aver perduto e che i tanti appoggi regionali e internazionali di cui ha goduto non sono bastati». È una sconfitta ai punti non per ko ma in ogni caso il leader sunnita ora non può far altro che leccarsi le ferite mentre le strade di Beirut sono piene di manifesti con l’immagine di Michel Aoun e la Baabda, il palazzo presidenziale, si appresta a ricevere il suo nuovo inquilino. Aoun potrebbe essere eletto al primo turno dopo l’appoggio che nelle ultime ore gli ha garantito anche il mutevole (a dir poco) leader druso Walid Junblat. Più probabile però è la sua nomina al secondo turno quando basterà il voto favorevole del 50 per cento più uno dei parlamentari (nel sistema politico-istituzionale libanese il presidente è un cristiano, il premier un sunnita e il presidente del parlamento uno sciita).

La tensione politica interna è destinata a placarsi solo in parte dopo l’accordo Aoun-Hariri. Entrambi dovranno affrontare non pochi oppositori. Contro la scelta di Aoun si è espresso il presidente del parlamento, Nabih Berri, storico leader dell’altro movimento sciita, Amal, e rivale (non dichiarato) del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. L’ex generale dovrà rintuzzare gli sgambetti del deluso Suleiman Franjieh, di cui per un certo periodo Hariri aveva caldeggiato la nomina a presidente, e di altri esponenti cristiani, come il suo storico rivale Samir Geagea (destra estrema). La svolta di Hariri ha sollevato obiezioni e proteste all’interno del 14 Marzo. In particolare a Tripoli, città che il leader sunnita aveva contribuito, con fondi e appoggi politici, a trasformare, dopo il 2011, in una roccaforte per salafiti e jihadisti impegnati a mandare giovani libanesi in Siria e Iraq e a combattere gli alawiti di Jabal Mohsen schierati con Bashar Assad. Malumore si registra persino a Sidone storico feudo della famiglia Hariri e bastione del sunnismo più radicale. Hariri ha motivato il suo passo con la necessità di «cooperare per salvaguardare il sistema, rafforzare lo Stato, far ripartire l’economia e dissociare il Libano dalla crisi siriana». E l’Arabia saudita ha dato con riluttanza il via libera al compromesso, non potendo fare altro di fronte ad un quadro regionale che si è fatto estremamente complicato per i suoi interessi. Un quadro che vede i suoi nemici – Damasco, Tehran ed Hezbollah – saldamente al potere. In queste ore tanti libanesi giurano che alla prima occasione propizia Riyadh scaricherà l’ormai inutile alleato Hariri.