Saad Hariri nega ancora di essere rimasto per quasi due settimane agli arresti domiciliari nella sua abitazione a Riyadh. «Dire che sono stato trattenuto in Arabia Saudita e che non mi era stato concesso di lasciare il Paese è una bugia», ha ripetuto ieri su Twitter. E invece l’arrivo ieri a Parigi del primo ministro libanese accredita la tesi di chi da giorni ripete che Hariri ha potuto lasciare Riyadh solo grazie all’intervento della Francia decisa a riprendersi un ruolo di primo piano nelle vicende interne libanesi e nella regione. «Nei prossimi giorni andrò a Beirut, parteciperò alle celebrazioni per l’indipendenza ed è lì che renderò nota la mia posizione su questi temi dopo aver incontrato il presidente (libanese) Aoun», ha aggiunto Hariri dopo l’incontro ieri all’Eliseo con il presidente Emmanuel Macron.

Ora l’attenzione si sposta tutta sul suo rientro il 22 novembre, nel Giorno dell’Indipendenza, a Beirut dove il primo ministro dovrà darsi da fare e non poco per spiegare ai libanesi le sue dimissioni-shock annunciate lontano dal Paese, in Arabia Saudita, e che hanno gettato il Libano in una grave crisi politica. Senza dimenticare l’intervista televisiva rilasciata alla giornalista Paula Yacoubian durante la quale ha rivolto attacchi pesanti al movimento sciita libanese Hezbollah e all’Iran. Ha addirittura accusato i suoi avversari (e dell’Arabia saudita) di aver pianificato un attentato alla sua vita (mai confermato dai servizi di sicurezza interni). Parole che hanno spezzato la fragile unità nazionale libanese aprendo la porta a scenari che presto potrebbero rivelarsi drammatici. La carriera politica di Saad Hariri in ogni caso è finita, i suoi oppositori nelle strade si sono moltiplicati. Proteste e manifestazioni contrarie saranno inevitabili. L’esilio in Francia che il primo ministro libanese ha sempre escluso in questi giorni potrebbe favorire la “soluzione” che, affermano alcuni, vedrebbe il fratello Baha prendere il suo posto con la benedizione dei padrini sauditi.

Intanto si aprono le prime falle nell’offensiva politica e diplomatica scatenata nella regione dal potente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman destinato, pare, a prendere il posto del padre la prossima settimana. Da più parti giungono critiche all’avventurismo di Riyadh volto anche a spingere Israele a lanciare un attacco militare contro Hezbollah in Libano. La Germania, il più potente dei Paesi dell’Unione europea, attraverso il ministro degli esteri Sigmar Gabriel l’altro giorno ha bocciato «l’avventurismo» della politica saudita nella regione, sostenendo tra l’altro che Hariri si trovasse «detenuto a Riyadh». I sauditi hanno reagito richiamando il proprio ambasciatore a Berlino per le parole «sorprendenti» pronunciate da Gabriel dopo un incontro con il suo omologo libanese Gebran Bassil. Bordate anche alla Francia, da parte però di Tehran. Emmanuel Macron «non ha alcun diritto di interferire» nel programma di missili balistici dell’Iran, protestato ieri Ali Akbar Velayati, consigliere del leader supremo iraniano Ali Khamenei. Macron, allo scopo evidente di compiacere gli alleati sauditi, aveva intimato all’Iran di avere «una strategia regionale meno aggressiva e meno balistica».