«Yolo» è un acronimo diventato uno dei simboli delle proteste che nei mesi scorsi hanno infiammato gli Stati uniti. Significa you only live once, «si vive una volta sola» ed indica la forza di chi ha chiesto con mobilitazioni imponenti, l’aumento della propria qualità di vita, in nome di una redistribuzione della ricchezza. Tutto è cominciato nel 2012, a New York, quando 200 lavoratori dei fast food della città, bloccarono più di 20 ristoranti, con un’intera giornata di sciopero. Da lì la crescita del movimento: nell’agosto 2013, proteste in 50 città, lo scorso dicembre in 100. I protagonisti all’inizio furono i cosiddetti Fastfood workers, novelli chainworkers: giovani e vecchi ma sempre sottopagati, lavoratori delle catene in catene.

A dicembre scorso tutti insieme hanno sollevato la propria protesta in almeno cento città statunitensi, chiedendo l’aumento del minimo salariale. Mc Donald, Subway, Burger King e compagnia, ma anche i janitors, uomini e donne delle pulizie e tanti altri dipendenti pubblici, sottopagati, con tariffe orarie straordinariamente basse, sempre uguali dal 2009 e per niente in grado di reggere l’andamento dell’innalzamento del costo della vita.

Tutti questi lavoratori erano concordi nella richiesta di aumento del salario minimo, a tal punto forti da diventare anche un riferimento del Presidente Obama e del suo provvedimento di aumentare la tariffa oraria minima (solo per i dipendenti pubblici per ora). Del resto secondo alcune ricerche, emerge che la potenza di questo nuovo movimento ha trovato la propria forza anche grazie a un dato anagrafico, spesso sottovalutato. Si tratta di un esercito di persone che sostiene famiglie e non giovani che lavorano per pagarsi gli studi o per arrotondare. Come sottolinea dissentmagazine.com fanzine on line internazionalista della sinistra americana, i lavoratori che hanno fatto parte delle proteste, «non rispondono agli stereotipi secondo i quali sarebbero adolescenti in cerca di soldi solo per spenderne di più, bensì sono persone che sostengono famiglie intere.

Un recente studio condotto da due organizzazioni non profit di Chicago conferma questo dato, notando che il 94 per cento dei lavoratori a basso salario hanno più di vent’anni e che il 57,4 per cento sono oltre i trenta».
Non a caso The Nation, ha riportato il caso di Mary Coleman, impiegata presso un Popeyes di Milwaukee a 7,25 dollari l’ora. Mary Coleman, 59 anni, vive con la figlia, malata di cuore e con due nipoti. «Sono stanca di lavorare per 7,25 dollari», ha raccontato a The Nation, «non posso prendermi cura della mia famiglia, non posso neppure prendermi cura di me stessa». Quel movimento, forte ed eterogeneo aveva fissato una soglia volutamente provocatoria: chiedeva l’innalzamento a 15 dollari all’ora, con tanto di nuove forme sindacali e autorganizzate in grado di creare breccia nell’immaginario e imporsi nel dibattito politico nazionale (come dimostrano i casi di fightfor15.org o fastfoodforward.org).