Lo zio scorreggione guarda con superiorità i bambini che mettono le decorazioni sull’albero. La nuora finge un mal di testa lancinante per non alzarsi dal letto. A tutto c’è un limite, al Natale no. Il Natale smargina il foglio. Il Natale perde i confini della decina di giorni di dicembre per esondare in anticipo a novembre e sforando fino a metà gennaio quando, nelle strade cittadine, qualcuno non si prende la briga di smantellare le orrende decorazioni e tutto intorno resta forzatamente in un’atmosfera di limbo irrespirabile come la panza piena e i chili di troppo per l’ennesimo morso di panettone pandoro torrone e chi più ne ha più ne metta.

Il Natale è l’orrore delle file alla cassa, delle liste dei regali da spuntare a fine giornata, senza dimenticare nessuno, della fantasia di trovare la cosa giusta per ognuno e avere la quasi certezza al cento per cento di rischiare, ogni anno, di ripetere due volte lo stesso dono. Il Natale è la volgarità dell’opulenza, è mangiare fino alla mentina dei Monty Python, è indossare abiti orrendi, rossi e verdi principalmente o al limite, peggio ancora, dorati , per richiamare lo spirito festoso del volemose bene, siamo tutti fratelli nello spirito del Natale. Parenti serpenti sorridono disprezzandosi da sempre, dalla prima volta che hanno dovuto prestare attenzione alle cazzate l’uno dell’altro.

Natale dovrebbe essere carità ma la massima azione di generosità non è che cedere l’ambita ultima fetta di roast-beef al cane sotto il tavolo. Natale è sopportazione obbligata dei sorrisi falsi con cui chiunque si rivolge al vicino di sedia. È desiderio di fuga verso mete esotiche, irraggiungibili telefonicamente: desiderio impossibile a meno di non simulare un malore fulminante, che magari porta pure sfortuna e finisci al pronto soccorso e allora niente, manco quest’espediente ci salverà. Natale è quell’interminabile mese precedente all’evento, costellato di preoccupazioni, alternative di menù, di telefonate costanti tra relativi dalle sette di mattina a mezzanotte: stiamo a casa tua che è più grande, no facciamo da te che affacci sul parco e c’è quella bella luce naturale fino a tardi, tu cucini meglio le lasagne, quest’anno sto a dieta non tocco cibo, giuro…

Discussioni, proposte, consigli, alla fine vince il più forte, chi ha più potere, chi porta alla sua dimora più ospiti, più lussi, più buon vino, più dolci elaborati da raffinatissime pasticcerie. La cugina, astuta, torna solo il ventiquattro alle sette di sera da Parigi (la solita fuga di cervelli) ma garantisce macaron per tutti. Pochi sanno cosa siano ma festeggiano al solo suono della parola tronca. La nonna promette insalate variopinte perché il figlio – prediletto in segreto, che poi lo sanno tutti, fratello e sorella minori compresi – da qualche mese è diventato vegano e lei non desidera che la sua felicità. Qualche giro di telefonate dopo, il pranzo di Natale sembra essersi trasformato in un picnic con pranzo al sacco individuale tante sono le allergie, le paranoie dietetiche, le intolleranze alimentari, vere o presunte di ognuno dei commensali invitati al desco. Il papà – cuoco delle grandi occasioni – si sente umiliato: nessuno si fida della sua abilità ai fornelli.

La mamma e gli eredi lo consolano: per noi sei un talento nato, tutto ciò che proviene dalle tue mani è manna deliziosa di cui mai ci saziamo, dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti… no, non esageriamo nel considerarti un dio, sei solo un padre, andiamo a tavola. E si comincia subito, in anticipo, per testare le ricette, a abbuffarsi senza imbarazzo né indugio. Così lo stomaco – grande protagonista della festività in cui, si dice, nasce Gesù bambino – avvia la dilatazione iniziando il suo grande viaggio verso la giornata più lunga spesa a tavola nella storia dell’universo.

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