Dai tempi gloriosi di Il sesto senso, Unbreakable e Signs, quando gli studios facevano a botte per lavorare con lui, e dopo che la sua love story con l’industria si è conclusa con un flop di troppo, Lady in the Water, e l’infelice idea di autorizzare un libro su quell’esperienza, Man Who Heard Voices, M. Night Shyamalan esiste in uno strano purgatorio del cinema hollywoodiano, inspiegabilmente esiliato tra film per bambini più belli di quello che sembrano (L’ultimo dominatore dell’aria), le grinfie di Will Smith e famiglia (lo stranissimo After Earth) e una serie Tv (Wayward Pines) che non è male anche se molto rubacchiata da Twin Peaks di David Lynch.

L’ultima incarnazione del regista di Philadelphia arriva targata Blumhouse Productions, l’inventiva factory di Jason Blum, specializzata in horror micro budget come Insidious, The Purge e i Paranormal Activities, e in indie di qualità come Whiplash. Si tratta di uno strano abbinamento per un autore di serie A come Shyamalan. Ancor più strana, per questo formalista, cresciuto ispirandosi ai raffinatissimi meccanismi della paura di Hitchcock, la scelta di buttarsi nel filone «sporco» del found footage, reso celebre da The Blair Witch Project, e stra-sfruttato da allora con risultati quasi sempre poco interessanti. Fortunatamente, Shyamalan è riuscito a fare di The Visit un film abbastanza suo, e quindi notevole.

Intanto la premessa, dietro a cui si celano un bel po’ di Cappuccetto rosso e di Hansel e Gretel (fiaba ripresa magistralmente anche da John McNaughton l’anno scorso): una mamma single e un po’ distratta (la brava attrice teatrale newyorkese Kathryn Hahn) decide di mandare i suoi bambini, Becca e Tyler, in visita dai nonni, che loro non hanno mai visto né conosciuto, e con cui lei, per ragioni misteriose, ha rotto da molti anni. Prototipi perfetti della selfie generation, i due bambini decidono di trasformare l’esperienza in un film, che è quello che noi vediamo sullo schermo.

Ben presto, seguiamo i giovanissimi filmmakers, e il loro irrequieto occhio elettronico, nella fattoria dei nonni, sperduta in mezzo alle campagne nevose della Pennsylvania che hanno fatto da sfondo a parecchi dei film di Shyamalan. Il gotico americano alla Grant Wood incontra i monologhi interminabili e lo stile shaky-cam del finto doc da terzo millennio.

Nana e Pop Pop, sembrano due vecchietti da cartolina, secchi e austeri, eppure affettuosi. Ma, ovviamente, c’è qualcosa sotto. Cosa fa Pop Pop in quella legnaia in cui a loro non è concesso di entrare? E quale creatura sghignazzante sfreccia veloce sotto gli assi del pavimento?

 

Cosa sono quei rumori orribili che si sentono di notte? Un sorriso sinistro e un’aria assente appaiono cominciano ad apparire sul volto della nonna. Il nonno spiega contrito che è malata. Lei spiega contrita che lui è incontinente. Siamo vecchi, dovete capire…Dal ponte dell’orribile nave da crociera su cui si è imbarcata con il fidanzato, la mamma saluta via skype, sempre un po’ alticcia perché si diverte, e con le lacrime agli occhi perché le mancano i bimbi.

Sentendosi un mix tra Orson Welles e Nancy Drew, Becca decide di trasformare il suo film in una detective story. Anche se terrorizzato, Tyler le da man forte con una seconda telecamera. Shyamalan si diverte a forza di corridoi, scale, porte e cunicoli – i luoghi chiusi gli sono sempre piaciuti. Il suo è come un rimpiattino con se stesso. Il film ha momenti decisamente sinistri e paurosi, specialmente nell’ultima parte.

Un che di impietoso nello sguardo, sia sulla vecchiaia che sull’infanzia, alza ulteriormente la posta.
Ma, si sente, per Shyamalan, The Visit è come ingannare il tempo. In attesa di qualcosa che meriti veramente il suo talento.