Si chiamano Han Kuang. La prima volta che si sono svolti, nel 1984, nella Repubblica di Cina, Taiwan, vigevano ancora un sistema a partito unico e la legge marziale. Il Guomindang non aveva accantonato il desiderio di riappropriarsi della Cina continentale. Oggi, mentre si svolgono gli annuali «giochi di guerra» taiwanesi, è tutto diverso e i rapporti di forza sono sempre più sbilanciati a favore di Pechino. Gli Han Kuang sono dei test militari che coinvolgono tutti i reparti dell’esercito di Taipei.

Nella prima giornata è stato simulato un attacco biochimico ed è stata testata la forza di combattimento in risposta a un primo tentativo di assalto. Sono entrati in azione i Mirage 2000s e gli F-16V, mentre i P-3C andavano a caccia di sottomarini. Si sono poi raggruppati nella base sotterranea antiatomica nei pressi della città di Hualien, sulla costa orientale dell’isola, che può accogliere fino a 200 aerei. Martedì si sono testate le capacità di reazione a uno sbarco anfibio e le strategie di difesa delle infrastrutture critiche, con la messa in scena di un attacco agli impianti i telecomunicazione chiave nel nord di Formosa.

Un tema sensibile, visto che il recente report annuale del ministero della Difesa sostiene che la Cina sarebbe in grado di «paralizzare» le difese militari taiwanesi e di bloccare le comunicazioni del comando marittimo e di quello aereo, nonché quelle con le diverse isole minori sotto il controllo di Taipei.
Sono state realizzate anche manovre notturne di veicoli blindati a est. Mercoledì pomeriggio invece i cittadini hanno ricevuto un messaggio di allerta per la simulazione di un attacco aereo, che tra le altre cose ha previsto l’atterraggio di velivoli militari in autostrada. Oggi e domani si continua con altri test aerei, navali e terrestri.

Tra gli scenari presi in considerazione dalle esercitazioni anche un «decapitation strike» presso l’ufficio presidenziale di Taipei. Gli Han Kuang arrivano in un momento delicato per i rapporti sullo Stretto. Solo poche settimane fa, gli Stati Uniti hanno svolto i test più vasti negli ultimi 40 anni nell’area, con la Cina che ha risposto con una cinque giorni di manovre militari su larga scala. La scorsa settimana il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu e il segretario generale del Consiglio di sicurezza nazionale Willington Koo sono stati negli Usa. Un viaggio non pubblicizzato, durante il quale secondo il Financial Times avrebbero incontrato ufficiali di alto livello del governo americano.

Al centro dei colloqui difesa e sicurezza. Il tutto mentre l’amministrazione Biden considera la possibilità di concedere il cambio di nome dell’ufficio di rappresentanza di Taipei a Washington, includendo la parola «Taiwan». Sui media cinesi si insiste sempre di più sulla possibilità di mandare dei caccia a sorvolare direttamente il territorio di Taiwan.

Le incursioni si registrano ormai su base quotidiana, ma la Cina non riconosce l’esistenza di uno spazio aereo taiwanese. Il passaggio avviene però al largo e un ipotetico sorvolo della terraferma romperebbe decenni di status quo, che secondo Pechino sarebbe in realtà violato dai rapporti tra il Partito democratico progressista di Tsai Ing-wen e gli Usa. La mossa rappresenterebbe un rompicapo strategico per Taipei: in caso di abbattimento si potrebbe arrivare a un’escalation. Per ora solo ipotesi, spinte anche dalle necessità retoriche di una Cina che vede un Pacifico sempre più affollato. Il 24 settembre si svolgerà a Washington il primo summit «fisico» dei leader del Quad, la piattaforma di dialogo (soprattutto militare) Usa-Giappone-India-Australia che Biden sta cercando di strutturare in modo più concreto.