La sinistra non avrà un candidato unico alle presidenziali. Sarà il primo turno a decidere quale linea avrà il sopravvento (con il rischio dell’esclusione della sinistra al ballottaggio), perché l’egemonia del Ps in quest’area politica non è più scontata. L’ipotesi di un accordo tra il socialista Benoît Hamon e il leader di France Insoumise Jean-Luc Mélenchon è sfumata definitivamente. Sommersa da messaggi, anche violenti, a distanza.

Hamon, che nel fine settimana era in visita a Lisbona (dove c’è un governo di coalizione a sinistra), ha cercato di rincorrere il “modello” portoghese, proponendo «un’agenda comune delle sinistre europee» sulla base di un nuovo trattato europeo, che sta preparando l’economista Thomas Piketty (l’eco-fin dovrebbe venire sostituita da un’assemblea parlamentare, con il compito di scegliere la linea economica). Hamon ha incontrato Yannick Jadot, candidato di Europa Ecologia, con cui entro fine mese potrebbe essere raggiunto un accordo – con l’abbandono dell’ecologista a favore del socialista – ma ieri un portavoce dei Verdi ha affermato che le posizioni «sono ancora molto distanti».

 

Melenchon

Mélenchon ha mandato a dire al candidato del Ps di «non avere l’intenzione di agganciarsi al carro da morto socialista». Di fronte a questa affermazione, Hamon ha chiuso il dialogo, che in realtà non era ancora cominciato. Hamon aveva fatto cadere nel vuoto la richiesta presentata da Mélenchon in una lettera venerdì scorso: la precondizione per aprire un confronto avrebbe dovuto essere non candidare alle legislative di giugno alcuni socialisti responsabili delle leggi più contestate della presidenza Hollande, a cominciare da Myriam El Khomri e Manuel Valls. Hamon ritiene di essere il «meglio piazzato» (grazie all’investitura delle primarie, a cui Mélénchon si è sottratto). Il Pcf ha di nuovo chiesto ieri «unità».
Mélenchon rifiuta di discutere con Hamon dei punti del programma. Del resto, domenica, ha presentato il suo progetto economico, in una trasmissione su

YouTube, durata 5 ore e mezza. Il programma di Mélenchon è nazionale, non tiene conto dei vincoli esterni e neppure dell’Unione europea (del resto, per Mélenchon se l’Europa non si piega allora per la Francia c’è il piano B di uscita dall’euro). Mélenchon rifiuta il reddito universale, per i giovani propone al massimo un assegno di 800 euro per la durata di un anno. La sua idea di fondo è «un rilancio keynesiano», in un solo paese, con uno choc di 273 miliardi nell’economia (173 miliardi di spesa pubblica supplementare e 100 miliardi di piano di investimenti finanziato con un prestito). Per Mélenchon questo choc è destinato a creare «un circolo virtuoso», fatto di maggiore occupazione, quindi di maggiori entrate fiscali, che, di conseguenza, porterebbero anche a un calo del peso del debito pubblico (passando però per un aumento temporaneo del deficit). Il tutto potrebbe funzionare, stando ai calcoli di Mélenchon, con una crescita intorno al 2% (e un’inflazione al 4%). Per trovare i soldi, lo stato combatterà l’evasione fiscale e aumenterà le tasse, oltre a mettere tasse alle frontiere secondo le regole di un «protezionismo solidale».