Esiste qualcuno in Italia che la sera di Natale sente il bisogno di un hamburger con patate fritte, o una pizza peperoni e cipolle, anche un buon piatto di cibo asiatico piccante va bene. E non ha voglia di uscire di casa, prendere l’automobile, cercare parcheggio e tutto il restante armamentario che appesantisce una piacevole serata di festa. Per tutti costoro, e non sono pochi, esiste Armand. Armand è un pachistano che vive a Torino nella periferia estrema, dove affitta un appartamento che condivide con un amico che fa il suo lavoro: il rider del delivery food, ovvero i fattorini che portano a casa cibo quando hai voglia di cibo ma non hai voglia di uscire. Il punto più avanzato della gig economy.

APPUNTAMENTO con Armand alle ore 19 in una piazza strategica del centro città: a disposizione comode panchine dove restare in messianica attesa della chiamata della applicazione, una fontana, diversi fast food, diversi ristoranti asiatici, diversi colleghi con cui scambiare una parola. Pachistani, africani, tantissimi afghani, qualche italiano con i capelli grigi espulso dall’industria che prova a reinventarsi: tutti con la loro bicicletta dotata di catenaccio, il loro bidone colorato, tutti coperti fino agli occhi da spesse coltri di vestiario nonostante il clima monsonico di questa Torino di fine millennio.
Armand arriva puntuale con la sua bicicletta scura: è giovane, gentile, parla pochissimo italiano perché, sono parole sue, «lavoro sempre, quindi non ho amici con cui parlare la vostra lingua». E perché lavori sempre, domandiamo. «Perché un giorno sarà meglio di oggi». E oggi com’è? «Oggi è dura, molto dura».
Il telefono squilla e l’applicazione illumina lo schermo come una apparizione nel cielo: c’è da portare un bell’hamburger con patate fritte e bibita gassata a tre chilometri e mezzo di distanza. Armand accetta la proposta. Sì, perché in questo strano mondo del cibo a domicilio quello che impera è il libero arbitrio. Il fattorino-rider è libero di accettare la proposta di consegna o meno, è libero di andare piano o forte in bicicletta, è libero di rispettare o meno semafori rossi, strade contromano, inversioni di marcia, è libero di fare quello che vuole. Ma sono tutte libertà che hanno un costo.

IL PREZIOSO HAMBURGER con patate fritte entra dentro il bidone e via, si vola verso l’affamato cliente. L’inverno torinese intanto si ricorda dei tempi che furono e il termometro abbandona i quindici gradi primaverili a Natale e scende in picchiata verso i tre quattro gradi. La grande piazza Statuto da attraversare nel buio è una sorta di roulette russa e ogni pedalata ha la sua pena: ottocenteschi lastroni di pietre di fiume che spezzano i polsi dove si congiungono, rotaie del tram invisibili che attraggono come magneti le ruote, semafori rossi ovunque, monopattini missile che sbucano da ogni dove. Armand macina ogni giorno ottanta chilometri, circa venticinquemila all’anno. È la distanza coperta dai ciclisti professionisti che corrono lungo le strade del Giro o del Tour.

Corpo esile, muscoli scattanti, Armand potrebbe essere un grande scalatore: ma quando si giunge, finalmente, sulla pista ciclabile di corso Francia escono le sue doti da passista: butta dentro un rapportone da pianura e inizia a picchiare sui pedali. Il contachilometri segna nel momento di massima furia 34 km/h. Da destra arrivano le vie che immettono sul controviale del corso, dove è presente la pista ciclabile non protetta e a quella velocità, al buio o quasi, viene quasi voglia di chiudere gli occhi e affidarsi a qualcosa di ben più potente degli inutili freni. Ma è una sua scelta, quella di correre così. Anzi la compagnia per cui lavora pretende il rispetto del codice della strada.

Si gira a sinistra, si attraversa il corso, un po’ di vie contromano e poi finalmente si giunge davanti a un bel palazzo liberty della Torino anni venti.
Citofona, sale, consegna il panino con le patatine e torna giù. Guadagno netto poco meno di tre euro: mancia zero.
Ma perché vai come un pazzo, domandiamo. Risposta: «Esiste un meccanismo di valutazione che premia quelli che lavorano molte ore, non rifiutano mai consegne, e soddisfano il consumatore finale. In poche parole, l’unica cosa che conta è lavorare sempre, essere veloci, non fare casino con cibo nel bidone, sorridere sempre».

La libertà, ha un prezzo. Laureato, Armand ha studiato a Londra, poi è arrivato in Italia attraverso la rotta balcanica. Le sue parole ricalcano le storie dei meridionali, e veneti, e abruzzesi, e tutti, che giunsero a Torino con l’unica idea di lavorare e basta. Quelli andavano nelle miniere industriali della Fiat, i ragazzi come Armand vanno nelle miniere dell’economia digitale.
«Lavoro e basta: anche dodici ore al giorno. Anche quando piove, nevica, tira vento. Anzi in quei giorni meglio, perché c’è meno concorrenza tra di noi: molti si ritirano, non ce la fanno fisicamente».

LA SUA VITA IN ITALIA come una catena: dal suo lavoro dipende il permesso di soggiorno da cui dipende tutto. Se perde il lavoro, scatta il decreto sicurezza e addio Italia, addio «un giorno andrà meglio», si torna in Pakistan dalla famiglia che ogni mese riceve un bonifico. Il semaforo rosso, così come tutto ciò che intralcia la sua produttività, in questo contesto ha valore residuale.
Guadagno mensile, circa 1400 euro: meno le tasse arriva a 1150-1200 netti. Tutti i giorni o quasi su due turni, pranzo e cena, per cinquanta e anche più ore settimanali.

«È DURA, È PERICOLOSO, ma io lavoro. Beati gli Italiani».
Il bidone sulla schiena, quando è carico di cibo e bevande, pesa e sbilancia: le curve diventano insidiose, ma i veri pericoli sono le buche: «Non perché rischi di cadere, bensì perché il cibo potrebbe uscire dai contenitori, o mischiarsi. Non sia mai: si rischia una valutazione negativa da parte del cliente», in gergo «dislike».
È un lessico vagamente lisergico quello che Armand utilizza per descrivere «promozioni» o «punizioni» riconducibili a entità misteriose che emettono giudizi insindacabili, divini.

LA SERA SI TRASFORMA in notte, si vola da un fast food a un asian food e a mezzanotte i chilometri percorsi sono venticinque. Armand ha guadagnato circa venticinque euro, da cui dovrà decurtare il 20% di tasse. Il borsello delle mance si è riempito con ben due monete da venti centesimi. Nella sera di Natale. Lui ci ride sopra, amaramente: «Alcuni non dicono nemmeno grazie».
Torna a casa, per dormire: mangiare, lavorare, dormire. È la vita dura di chi lavora duro. I risparmi, tutto quello che può, in un sogno di un domani migliore, in Italia. «Vorrei aprire un negozio di cosmetici e profumi orientali, del Pakistan. Sono ottimista, prima o poi lascerò questa maledetta bici».