Israele ed Hamas possono arrivare, senza riconoscersi, a uno stato di non belligeranza a tempo indeterminato? I dubbi sono molti. Tuttavia da qualche tempo si registrano segnali interessanti che fanno ipotizzare un compromesso non dichiarato, utile agli interessi delle due parti. Il primo segnale è la calma relativa seguita alla distruttiva offensiva israeliana “Margine protettivo” dell’estate 2014. Certo proseguono i lanci sporadici di razzi palestinesi e i raid aerei israeliani. Ma è una tensione a bassa intensità, sotto controllo, che non lascia immaginare l’inizio di un nuovo ampio conflitto, nonostante a gestire la situazione siano due “falchi”, il ministro israeliano della difesa Avigdor Lieberman e il nuovo capo di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, uno dei fondatori dell’ala militare del movimento islamico. Altri segnali sono la redazione in corso del nuovo statuto di Hamas più “moderato” (rispetto a quello annunciato il 18 agosto 1988) nei confronti di Israele e la proposta dell’influente ministro israeliano dei trasporti Israel Katz per la costruzione davanti alle coste di Gaza di un’isola artificiale. Isola (costo 5 miliardi di dollari) che dovrebbe ospitare un porto, un impianto di desalinizzazione e una centrale elettrica, per migliorare le condizioni di vita dei due milioni di palestinesi di Gaza che da più di 10 anni affrontano le conseguenze del blocco israeliano. L’idea a Gaza raccoglie interesse anche se Hamas non lo dice.

Da qualche giorno a spiegare il futuro “Covenant” è Ahmad Yusef, in passato consigliere dell’ex primo ministro islamista Ismail Haniyeh. Hamas formulò il suo statuto nel 1988 poco dopo l’inizio della prima Intifada, quando era una organizzazione relativamente piccola, non ancora in contrapposizione aperta con l’Olp, e che il suo fondatore, lo sceicco Ahmad Yassin, non poteva certo immaginare forte militarmente, popolare e influente come oggi. Yusef sostiene che il movimento islamico intende darsi uno statuto adeguato alla mutata realtà locale e regionale. Hamas non riconoscerà Israele, non lo farà mai spiega Yusef, ma intenderebbe proclamarsi «solo» contro il sionismo e non contro gli ebrei. Non c’è nulla di definito su tale punto ma questa possibilità, riferita da Ahmad Yusef, è stata confermata al manifesto da una fonte di Gaza, che vuole rimanere anonima, vicina ai vertici del movimento islamico. «Hamas si percepisce ormai come una forza regionale, che deve tenere conto degli interessi e degli Stati arabi e islamici che lo appoggiano e lo finanziano» spiega la fonte «il Qatar e la Turchia (i maggior sponsor di Hamas, ndr) hanno rapporti con Israele e premono per cooptare il movimento islamico palestinese nell’allenza sunnita che si è formata nella regione. Perciò chiedono una posizione più pragmatica e meno aggressiva nei confronti di Israele». Per questo Hamas potrebbero rinunciare, almeno per un certo numero di anni, a «liberare tutta la Palestina» e proclamarsi a favore di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967: Cisgiordania, Gaza, con capitale Gerusalemme Est. Non solo. «Nel nuovo statuto», aggiunge la fonte «Hamas si descriverà come un movimento islamico indipendente, non più parte della Fratellanza islamica egiziana, allo scopo di migliorare le sue relazioni con l’Egitto, l’Arabia saudita e gli Emirati, nemici dei Fratelli musulmani».

Le resistenze interne non mancano, soprattutto nell’ala militare. «I moderati comunque vinceranno, prevede la fonte, spiegando che «tra la fine di marzo e l’inizio di aprile la shura (assemblea di Hamas) nominerà l’esecutivo del movimento, che includerà dirigenti locali e in esilio, e il nuovo leader, con ogni probabilità Ismail Haniyeh favorevole alla svolta pragmatica». Nel frattempo sull’altro fronte Efraim Halevi, ex capo del Mossad, il servizio segreto israeliano, esorta il governo ad avviare un “dialogo diretto” con Hamas e il capo dello stato Reuven Rivlin dice di non essere contrario «a parlare con chiunque voglia dialogare», quindi anche gli islamisti. Una posizione non condivisa dal premier Netanyahu. Per il momento c’è un’unica certezza: l’Anp e il presidente palestinese Abu Mazen sono fuori dai giochi.