Il cessate il fuoco del novembre 2012, che pose fine a «Colonna di Difesa», sanguinosa offensiva militare israeliana contro Gaza , appare lontanissimo. Non è trascorso nemmeno un anno, ma sul piano politico la situazione è rovesciata. Allora, ad uscire vittorioso da un’operazione che si lasciò dietro quasi 200 vittime palestinesi, fu Hamas. Una vittoria derivante dal fondamentale ruolo da mediatore che assunse il deposto presidente Morsi, con la benedizione Usa.

Oggi Hamas appare più debole. Braccio palestinese dei Fratelli Musulmani, è costretto ad assistere al crollo dell’Islam politico in Egitto e alla ripresa dei negoziati – seppur fragilissimi – tra Anp e Israele. Dopo il golpe guidato dal generale Al-Sisi, il movimento islamista ha riconosciuto pieno sostegno alla Fratellanza, definendo «illegittimo» il golpe. Oggi condanna la violenta repressione contro i manifestanti pro-Morsi («un massacro terribile») e indice marce di protesta a Gaza e anche a Gerusalemme.

A rimetterci, come spesso accade, è la popolazione gazawi, da 6 anni sotto l’assedio di Tel Aviv: Il Cairo ha deciso di chiudere a tempo indeterminato il confine di Rafah, tra Egitto e Gaza. Centinaia i palestinesi bloccati alla frontiera in attesa di passare. Un fatto non certo nuovo: molti palestinesi si attendevano dal nuovo Egitto un atteggiamento diverso rispetto all’occupazione della Palestina, ruolo che è totalmente mancato. Morsi ha fatto allagare i tunnel a Rafah e ha confermato i trattati di pace con Israele, mentre Hamas ha finito per agire come filiale della Fratellanza, piuttosto che come fazione palestinese.

Passano, invece, i miliziani di Hamas: secondo il quotidiano egiziano Al-Ahram, nei giorni scorsi circa 600 membri del movimento islamista hanno attraversato i tunnel per entrare in Sinai e unirsi ai gruppi pro-Morsi. Da settimane giungono notizie simili: guerriglieri, impegnati al fianco degli islamisti contro il governo figlio del golpe, sarebbero stati uccisi in Sinai dall’esercito egiziano. Lo stesso Morsi è oggi detenuto per crimini che avrebbe commesso evadendo dal carcere nel 2011, aiutato da Hamas.
Così sembra spegnarsi il potere conquistato dall’Islam politico nei mesi successivi alle primavere arabe. Hamas è una delle vittime: dopo essersi conquistato i favori (e il denaro) di Qatar e Turchia e anche il riconoscimento non ufficiale di alcuni attori occidentali, il governo de facto della Striscia è isolato. Ennahda in Tunisia non regge alle proteste di piazza, i leader islamisti egiziani finiscono quotidianamente dietro le sbarre, Erdogan non riesce a fare il passo in più. E i Paesi del Golfo, che hanno fatto piovere sull’Egitto di Morsi e la Gaza di Hamas milioni di dollari, oggi preferiscono girarli al governo militare. Alla vecchia alleata, la Siria di Assad, Hamas ha chiuso la porta in faccia mesi fa.