È una dittatura a tutti gli effetti quella contro cui sta lottando il popolo haitiano. E lo è dal momento in cui l’ormai presidente de facto Jovenel Moïse ha deciso di restare al potere malgrado il suo mandato sia «inequivocabilmente» scaduto il 7 febbraio, come sancito dal Consiglio superiore del potere giudiziario con il sostegno della pressoché intera popolazione.

Ma è una dittatura che continua a ricevere il sostegno di Usa Francia, Canada, Ue Organizzazione degli stati americani e Onu, i cui residui scrupoli democratici sembrano placati dalla convocazione da parte di Moïse di un referendum per l’approvazione di una Carta costituzionale di fatto elaborata da sé medesimo (tramite una commissione nominata unilateralmente) e di successive pseudo-elezioni legislative (né trasparenti né democratiche come quelle che gli stessi organismi continuano a pretendere da Maduro).

Così, il 18 febbraio, le forze politiche raggruppate nella Direzione politica dell’opposizione democratica (Dirpod) si sono rivolte a Barbara Woodward, presidente di turno del Consiglio di sicurezza Onu, per lamentare che «quanti parlano a nome delle Nazioni unite danno la sgradevole impressione di ripetere la propaganda dell’ex presidente», ignorando le chiare «disposizioni legali e costituzionali» sul termine del mandato di Moïse e la sua lunga sequela di atti autoritari, incostituzionali, liberticidi e violenti. Compresa l’elaborazione di una nuova Costituzione destinata a «cambiare il regime politico e a rafforzare in maniera considerevole i poteri del presidente».

E compreso il controllo di intere fasce del territorio da parte di bande armate protette dal governo.
È in questo quadro che il 31 gennaio il Dirpod, insieme a diversi attori politici e sociali dell’opposizione, ha raggiunto «qualcosa che molti osservatori ritenevano impossibile», firmando un accordo in vista di un processo di transizione finalizzato a organizzare «elezioni libere, inclusive e democratiche nel più breve tempo possibile». Ed è così che si spiega la nomina, da parte dell’opposizione sociale e politica, del giudice Joseph Mécène Jean Louis come presidente ad interim, la cui immediata rimozione da parte di Moïse è stata seguita da uno sciopero a tempo indeterminato di tutto il settore giudiziario.

Non si tratta però – avverte il sociologo Lautaro Rivara della Brigada Dessalines attiva ad Haiti da 11 anni – di un presidente autoproclamato in stile Guaidó, essendo stato indicato non in contrapposizione a un governo democraticamente eletto, bensì per «colmare un vuoto legale di fronte alla consumazione di un auto-golpe». Ma se ogni similitudine con il caso venezuelano è del tutto impropria, il sociologo non nasconde come la nomina del giudice sia il frutto di un delicato equilibrio all’interno di un’opposizione estremamente variegata, dove i partiti conservatori, a cominciare dal Settore Democratico e Popolare di centro-destra guidato dall’avvocato André Michel, convivono con i movimenti popolari aderenti a Vía Campesina e ad Alba-movimientos, riuniti nel Foro Patriottico Popolare.

E se sono attualmente i partiti conservatori a guidare la partita, è in realtà nella permanente mobilitazione delle classi popolari – scese nuovamente in strada domenica malgrado la selvaggia repressione – che, secondo Rivara, si giocherà «il rapporto di forze nel futuro immediato».