Non sarà contenta, Hillary Clinton, per come stanno evolvendo le cose ad Haiti e per l’influenza che questo potrebbe avere sulla sua campagna elettorale. Migliaia di manifestanti protestano da giorni al grido di «Martelly vattene, siamo il potere popolare» e hanno ottenuto una prima vittoria facendo rinviare sine-die il secondo turno delle presidenziali, previsto per domenica scorsa.

Ora, l’arco di opposizione, riunito nel blocco G8, chiede un governo di transizione, da mettere in atto a partire dal 7 febbraio, quando l’attuale presidente Michel Martelly (sostenuto dagli Usa) lascerà l’incarico. Chiede anche che il nuovo incaricato – il presidente del Tribunal Supremo del Justicia (Tsj) scelga il Primo ministro e gli altri 15 membri dell’Esecutivo tra le figure più riconosciute della politica nazionale.

Era da tempo che il popolo di Toussaint Louverture non alzava così la testa contro la nuova occupazione coloniale, economica e militare. Haiti si è trasformata in una «repubblica delle ong», sotto tutela della Minustah, la missione Onu. Il fiume di denaro investito dagli Usa (e dalla Fondazione Clinton) nella ricostruzione del post terremoto è finito nei profitti delle grandi compagnie o negli altissimi stipendi dei burocrati delle ong.

E Haiti resta il paese più povero dell’America latina. Di Haiti e dell’aggressività dell’Argentina di Macri contro il Venezuela (Macri è stato il primo a protestare contro la sospensione delle elezioni ad Haiti) si discuterà al vertice della Celac che inizia oggi a Quito.