Haiti cinque anni dopo il sisma cha causò 230 mila vittime immediate e moltissimi altri feriti e menomati e più di un milione e mezzo di senza casa. Cosa resta di quella gara di solidarietà che ha coinvolto il mondo nella ricostruzione dell’isola?

Port au Prince, ieri
Port au Prince, ieri

Le proteste di questi giorni sono già una prima risposta: è dal 2011 che la popolazione di Haiti attende di andare alle urne; una sospensione democratica motivata anche dallo stato di eccezione permanente indotto dal terremoto e dalle dinamiche che si sono innescate a causa del flusso massiccio di aiuti internazionali. Aiuti che hanno mostrato le diverse filosofie che animano la ricostruzione. Se da una parte, infatti, molte ong internazionali si sono concentrate sulla ricostruzione di scuole, piccoli centri di salute, case popolari, altri grandi donatori hanno preferito concentrarsi su strutture più appariscenti, i grandi centri commerciali, gli hotel di lusso, i palazzi del potere, dando un indubbio connotato di classe alla gara di solidarietà.

Se questo non bastasse a rendere perlomeno critico il bilancio di cinque anni di aiuti, si dovrebbe aggiungere una riflessione che motiva, almeno in grande parte, le mobilitazioni popolari di questi giorni: non basta ricostruire le infrastrutture, bisogna anche ricostruire il tessuto civile. Ed è proprio questa la parte più debole del bilancio dei cinque anni passati. Solo le ong internazionali, che d’altra parte erano già presenti ad Haiti pima del terremoto, hanno saputo coniugare la ricostruzione delle infrastrutture di servizio con il rafforzamento della società civile locale.

Questa è la parte più difficile per diversi ordini di motivi. Prima di tutto l’instabilità politica di Haiti fa gioco alle potenze regionali che, ancora, si contendono la leadership sulla piccola nazione caraibica. Il Grande Gioco intorno a chi comanda realmente ad Haiti esiste da quando l’isola è diventata indipendente, cioè dai tempi delle prima sconfitta di Napoleone in terre d’oltremare. Da allora la Francia non ha mai rinunciato al dire la sua, naturalmente contrastata dagli Usa che, con la Dottrina Monroe, vedevano Haiti come parte del loro «cortile di casa». Il terremoto ha moltiplicato il protagonismo degli attori regionali che, con la motivazione della solidarietà, hanno cercato di piazzarsi sull’isola espandendo le loro aree di potere: Non solo gli Usa e la Francia dunque, ma anche Cuba, il Brasile e via via scendendo di livello tutti i donatori internazionali.

Questi contrasti geopolitici hanno finito per ostacolare non tanto l’arrivo degli aiuti, quanto la loro efficiente gestione, con il risultato che, a fronte di diversi miliardi di euro donati, circa la metà dei danni resta ancora senza risposta. Haiti, in sintesi, resta una nazione a forte sovranità limitata, e il terremoto non ha certo modificato in meglio questa situazione.

Altro punto di criticità è quello che potremmo definire «geomediatica», cioè la capacità dei media di amplificare una situazione di crisi tanto da spingere a un flusso di donazioni a fini geopolitici per poi, una volta spenti i riflettori, far dimenticare la crisi con altrettanta rapidità. Nel caso di Haiti le sfide geopolitiche erano importanti, basti pensare che la gestione dell’aeroporto di Port au Prince per il controllo dei flussi aerei, vinta dagli Usa, significava la possibilità di sperimentare in corpore vili, una logistica che sarebbe stata utilissima anche in caso di una guerra.
Passata la prima onda mediatica sul dramma haitiano si sono però spenti i fari, lasciando i donatori di lungo periodo scoperti sul fianco dell’informazione. Nel frattempo altri riflettori si sono accesi su altri drammi, più o meno indotti, e le opinioni pubbliche sono state portate a guardare altrove. Per quanti operano, ad esempio, attraverso il sostegno a distanza dei bambini, la scelta più corretta per aiutare in loco chi vuole restare a ricostruire la sua terra, questi spostamenti repentini di fronte sono esiziali.

E dunque è stato tutto inutile? Chi si è speso per Haiti cinque anni fa o ha continuato a farlo durante la bassa dell’onda informativa ha fallito? Niente affatto, e le manifestazioni di questi giorni sono una risposta anche a questo.

Se analizziamo infatti chi scende in piazza, vediamo che si tratta spesso degli esponenti di quella società civile organizzata che hanno saputo approfittare degli aiuti internazionali, della solidarietà diffusa, del sostegno delle ong, per strutturare le loro organizzazioni e chiedere ciò che ad Haiti manca oggi più del pane: la democrazia.
* Terre des Hommes