«Non mi curo perché non ho soldi». Accade in Italia dove per il Censis sono sempre di più gli italiani che pagano di tasca propria i servizi sanitari che il pubblico non garantisce più. Secondo la ricerca Rbm Salute-Censis, presentata ieri a Roma inoccasione del quarto «Welfare Day», il caso più clamoroso è quello del dentista.

Tra il 2005 e il 2012 gli studi privati hanno visto crollare il numero delle cure a pagamento. Una realtà già emersa alcuni mesi fa quando da Palermo è arrivata la notizia secondo la quale una ragazza di 18 anni sarebbe morta a causa di un ascesso non curato che le ha causato uno choc settico polmonare.

La mancata prevenzione, e il rifiuto delle cure, è una realtà sempre più conosciuta in Italia da quando la crisi ha eroso i redditi e ha moltiplicato la disoccupazione di massa. Secondo il Codacons, il 23% degli italiani, anche perchè nella sanità pubblica le liste d’attesa sono lunghe mesi. Ormai il 41,3% dei cittadini paga di tasca propria, e per intero, le visite specialistiche. Per il Censis la spesa per il ticket ha sfiorato nel 2013 i 3 miliardi di euro, +10% in termini reali nel periodo 2011-2013.

Hai bisogno di una visita oculistica in una struttura pubblica? Paga 30 euro di ticket e aspetta 74 giorni per la visita. Se invece hai premura, puoi rivolgerti ad un oculista privato. Allora paghi 98 euro e dopo sette giorni ottiene una prescrizione.

Veniamo a urgenze più complesse: le visite cardiologiche. Nella sanità pubblica pagherai un ticket da 40 euro, mentre la lista di attesa è di 51 giorni. Nel privato paghi invece 107 euro e aspetterai solo una settimana. Ti sei fratturato un piede? Hai bisogno di una visita ortopedica. Se ti rivolgi al pubblico paghi 31 euro di ticket e aspetti quasi un mese. Pagando invece un privato avrai un servizio quasi immediato: con 100 euro aspetti solo 5 giorni.

Per effettuare una colonscopia in una struttura pubblica il ticket costa 49 euro e si aspetta mediamente 84 giorni . Nel privato con 213 euro si aspettano 8 giorni. Per effettuare una risonanza magnetica del ginocchio il ticket è di 49 euro e l’appuntamento è dopo 68 giorni, nel privato pagando 149 euro si aspettano 5 giorni.

Non sembra esserci scampo: in Italia «il privato bello perché funziona». A condizione, però, di essere in grado di pagare. Se non ci sono soldi, allora bisogna affrontare un lungo viaggio che può anche non avere fine. La salute è una questione di classe.

Il Censis segnala l’alternativa che scandisce i tempi della nostra vita sociale. Nel pubblico, ci sono tempi biblici, che producono un sentimen[to di impotenza. L alternativa è la «fuga nel privato». Oppure l’emigrazione. Nella sanità non c’è solo quella «classica» dal Sud al Nord, ma anche dal Nord-Ovest verso il Nord-Est, ad esempio.

Secondo il rapporto Rbm Salute-Censis ogni area geografica ha una tariffa diversa. Per le visite specialistiche (oculistica, cardiologica, ortopedica o ginecologico) nel Nord-Est si paga 20 euro, mentre al Sud più del doppio: 45 euro in media. Una mammografia costa un minimo di 36 euro al Nord-Est. Nel Nord-Ovest un massimo di 48 euro.

La sanità pubblica è peggiorata. Questa è la constatazione del 38,5% degli italiani. Erano il 28,5% nel 2011. E crolla dal 57,3% del 2011 al 44,4% del 2014 la quota di chi giudica positivamente la competenza delle regioni sulla sanità. Nella percezione comune esiste un rapporto diretto tra i tagli alla sanità imposti dai piani di rientro, e quindi dal rigore di bilancio e dall’austerità, e l’abbattimento della qualità dei servizi. La dismissione del pubblico a favore della privatizzazione della sanità ha provocato un esodo in Europa.

Sono 1,2 milioni gli italiani che in sette anni hanno varcato le alpi per curarsi. «Ormai si cura solo chi può. Sono stati cancellati ospedali e servizi territoriali, mentre la cosiddetta riforma della P.A., che il Governo Renzi si appresta a varare, continuerà nell’opera di smantellamento – afferma Licia Pera (Usb) – cosa che si ripeterà a breve con il Patto per la Salute [presentato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin che in questasettimana si sta confrontando con la conferenza delle Regioni, ndr e i suoi 10 miliardi di tagli previsti».

Di diverso avviso la Cgil secondo la quale «il patto della salute deve mettere in sicurezza il nostro servizio sanitario, come un patrimonio pubblico irrinunciabile – afferma il responsabile politiche della salute della Cgil Nazionale, Stefano Cecconi – deve ricostruire un finanziamento adeguato dopo la stagione dei tagli lineari e mantenere i risparmi della spending review nel sistema sanitario, per restituirli ai cittadini con più servizi e meno ticket. Serve e conviene abolire i ticket, con una vera e propria “exit strategy”».