Hag, «L’azienda non parla, licenzia senza spiegazione»
Intervista Denis Vayr, segretario generale della Flai Cgil Torino: vogliamo che qui non si crei il deserto, chiediamo un impegno all’azienda
Intervista Denis Vayr, segretario generale della Flai Cgil Torino: vogliamo che qui non si crei il deserto, chiediamo un impegno all’azienda
«L’azienda è latitante, non dialoga e non risponde». Lo denuncia Denis Vayr, segretario generale della Flai Cgil Torino. Da due settimane è impegnato nella difficile vertenza Hag-Splendid, dopo la decisione della multinazionale olandese Jde di delocalizzare la produzione italiana di caffè. E di tirare giù la serranda allo stabilimento di Andezeno, nato nel lontano 1920. Qui, si confezionano ogni anno migliaia di tonnellate di caffè, che arriva crudo dal Brasile e viene tostato e macinato in loco per poi finire sugli scaffali dei supermercati.
È stato proprio un fulmine a ciel sereno?
L’azienda aveva da poco festeggiato «i mille giorni senza infortuni», un traguardo importante essendo le morti sul lavoro un tema sempre attuale. Faceva investimenti e utili. Quel che è successo è inspiegabile. All’incontro del 25 settembre, in Assolombarda, avremmo dovuto discutere di contratto integrativo, ma all’ultimo la società ha cambiato l’ordine del giorno e si è presentata annunciando la chiusura dello stabilimento di Andezeno dal primo gennaio 2019, giustificando la scelta anche in base a eccessivi costi di trasporto della materia prima. Jde ha fatto subito partire una procedura di licenziamento collettivo che ha una durata di 75 giorni che terminano il 9 dicembre. Per noi è così iniziata una corsa contro il tempo. Ci siamo mobilitati, proclamando uno sciopero immediato.
Come mai un’azienda non in crisi decide di delocalizzare?
Questo è il paradosso. Noi abbiamo chiesto che non si portino via le produzioni di un prodotto italiano, vogliamo espressamente che questa professionalità rimanga sul territorio. Ma la multinazionale fa muro, ha anche disertato il tavolo convocato da Regione Piemonte. Intanto, i 57 lavoratori, tra di loro ci sono anche intere famiglie con marito e moglie assunti in fabbrica, rischiano di finire su una strada.
Il Torinese ha vissuto recentemente la travagliata vicenda Embraco, la strada seguita in quel caso può essere da esempio per uscire dalla impasse?
Certo, vogliamo che qui non si crei il deserto, chiediamo un impegno all’azienda: se decide di andarsene deve creare assolutamente le condizioni per una pronta reindustralizzazione. Deve dirci i tempi, cosa vuole fare con i macchinari, perché ci sono aziende del settore alimentare che potrebbero essere interessate a subentrare e a investire nello stabilimento di Andezeno, ma questo dipende molto dalle condizioni che Jde porrà. Il tavolo del 22 ottobre al ministero dello Sviluppo economico deve fornire più tempo alla vertenza e, nell’eventualità, capire come ottenere la cassa integrazione per i lavoratori. E, poi, bisogna fare insieme un lavoro articolato e vero per capire come, in un anno, si possa creare una reindustralizzazione sul territorio. Ma per fare questo ci vuole dialogo. Non un ingiustificabile muro.
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