Alla fine la tanto temuta escalation che il generale Khalifa Haftar stava provocando sabato con la Turchia non è avvenuta: le forze navali dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) hanno annunciato ieri di aver rilasciato la nave battente bandiera di Grenada che, guidata da un equipaggio turco, era stata fermata e rimorchiata tre giorni fa al largo di Derna.

In un comunicato la Marina del parlamento di Tobruk, rivale del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli riconosciuto internazionalmente, ha spiegato che l’imbarcazione «navigava con un carico proveniente da Malta» e pertanto «non si stava dirigendo verso alcun porto libico».

Dopo aver «ispezionato il suo carico come previsto dalle procedure internazionali in questi casi», ha spiegato il portavoce dell’Lna Ahmad Mismari, si è appurato che la nave non portava con sé armi. Ciononostante, ieri Khaled Mahjoub, direttore del Dipartimento di «orientamento morale» dell’Lna, tornava alla carica: «Il Qatar e la Turchia usano navi commerciali a scopi militari per sostenere le milizie a Tripoli».

La fine della vicenda della nave sequestrata non riduce affatto l’altissima tensione che si vive nello Stato fallito libico. Se ne sta accorgendo, seppur lentamente, anche Bruxelles che ieri, con il Servizio europeo per l’azione esterna, ha rinnovato il suo appello alle parti libiche rivali «a cessare tutte le azioni militari e a riprendere il dialogo politico» sponsorizzato dall’inviato delle Nazioni unite Ghassan Salamah.

Tappa fondamentale per l’Unione europea resta il processo di Berlino (teoricamente indetto per il prossimo mese) il cui obiettivo è rilanciare i negoziati tra Gna e governo di Tobruk e ricostruire una «Libia pacifica, stabile e sicura».

Ma al di là dei comunicati, l’Unione europea continua a guardare la partita che fanno al momento i due protagonisti della vicenda libica: Turchia e Russia (quest’ultima schierata con Haftar e presente ufficiosamente con i mercenari Wagner). Ieri una delegazione turca è volata a Mosca per discutere con la controparte russa di Siria e di Libia: in ballo nel paese nordafricano ci sono la spartizione delle aree di influenze e lo sfruttamento delle risorse petrolifere. L’incontro è stato solo un antipasto di quello che si terrà il prossimo 8 gennaio quando Putin arriverà ad Ankara per incontrare Erdogan e per definire i rispettivi ruoli nel Mediterraneo.

Che la Libia assomigli sempre più alla Siria è ormai evidente: lo ha ribadito ieri anche il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio che poi ha riferito alla stampa come la Farnesina è in contatto con tutti i paesi che «possono avere un’influenza sulle parti libiche» con l’obiettivo di nominare i membri del cosiddetto comitato per la conferenza intra-libica.

Ma la lingua della diplomazia non rispecchia quella che si vive sul terreno. L’offensiva su Tripoli iniziata da Haftar lo scorso aprile sembrerebbe essere ormai giunta a un punto di svolta: il portavoce dell’Lna, Mismari, ha fatto sapere ieri che le sue forze si troverebbero a sei chilometri di distanza dal centro di Tripoli e controllerebbero l’80% del paese.

Duri combattimenti si sono registrati ieri nel quartiere di Tajoura, a est della capitale Tripoli: ferite almeno tre persone (una sarebbe in gravi condizioni). Contro gli effetti della guerra civile libica ha alzato la voce sabato la missione di sostegno delle Nazioni unite in Libia (Unsmil) che ha condannato «fermamente le continue minacce alla vita dei civili e dei loro interessi».