Haftar è nervoso, l’ex generale non vorrebbe che il parlamentino di Tobruk votasse l’accordo, negoziato dall’inviato delle Nazioni unite, Bernardino León che potrebbe ridimensionare il ruolo della Cirenaica e riportare il parlamento legittimo a Tripoli. E così è arrivata la condanna ferma per la violazione delle acque territoriali libiche di tre navi della marina militare italiana, circostanza smentita dal ministero della Difesa. La violazione non sarebbe avvenuta neppure nell’ambito della missione Ue, Eunavfor Med, che permetterebbe alle navi della marina militare di valicare le acque territoriali libiche per arrestare gli scafisti, impegnati nel traffico di migranti.

«Haftar fa pura propaganda. Ha un aereo e bombarda Bengasi. Mentre Tripoli ha buoni rapporti con l’Italia e questo non gli sta bene», spiega al manifesto Wali Ahmed, direttore della World Islamic Association e consigliere del premier di Tripoli, Khalifa al-Gweil. «Haftar dovrebbe lasciare il suo incarico. Ma ci sono personaggi sia in Tripolitania sia in Cirenaica che vogliono far saltare il tavolo. Chi ha interessi personali e non ha ottenuto niente dall’intesa vorrebbe sabotare l’accordo», continua Wali. Il suo giudizio sull’operato di León, il cui mandato è in scadenza da settimane e dovrebbe essere rimpiazzato dal tedesco, Martin Kobler, almeno nelle ultime settimane, sembra più sfumato del solito. «León ha capito come trattare con il popolo libico. Ha inteso che ci sono differenze da una città all’altra e ha saputo andare avanti nonostante non abbia ottenuto il completo sostegno occidentale», ha aggiunto il politico. «León ha provato a bilanciare il peso politico di Tripoli e Tobruk. E ha capito che la soluzione è a Tripoli mentre a Tobruk i politici sono ancora troppo legati alla qabila (tribù di appartenenza, ndr)». Secondo Wali, ormai Haftar avrebbe i giorni contati.

«Credo nessuno sostenga più questo militare. Neppure gli Stati uniti possono continuare a farlo dopo che hanno visto come ha ridotto in macerie Bengasi. Certo non può farlo l’Italia», ha aggiunto. E così se l’accordo di León che prevede una sorta di parlamento federale dovesse essere votato dai due parlamenti potrebbe avviarsi la terza fase di Eunavfor Med che insisterebbe direttamente in territorio libico forse mascherata da un voto Onu e da una missione di peace-enforcement. «L’unica cosa certa è che l’Italia dovrebbe tornare protagonista. Ha perso molto spazio in questi anni ed è stata la seconda vittima, dopo la Libia, del conflitto. Ha tardato così tanto ad intervenire che è arrivato il momento di invertire la rotta», ha aggiunto Wali.

Ma su Eunavfor Med a Tripoli, ci sono punti davvero discordanti rispetto all’Ue. «Il piano andrebbe studiato con i libici. Prima di tutto dovrebbero essere attuati progetti nel deserto del Fezzan.

Con la nostra partecipazione i flussi di migranti si possono ridurre del 70%. Sappiamo che l’Italia è entrata pienamente in questo business, ci sono scafisti italiani coinvolti, la mafia russa: insomma è un gioco che coinvolge i livelli alti», rivela Wali. Resta poi il nodo della Banca centrale che non garantisce la distribuzione completa dei profitti dalla vendita del petrolio. «Sta operando molto bene, distribuisce il denaro sufficiente a ricoprire stipendi e spese essenziali. Non apre completamente le casse che altrimenti darebbero il via a enormi truffe come è avvenuto nei mesi scorsi. E poi la produzione è calata moltissimo a causa della guerra. Siamo a 350 mila barili al giorni mentre la nostra produzione in condizioni normali è di 1600», ha aggiunto il politico. Ieri è stato poi devastato il cimitero italiano di Tripoli. Non è la prima volta che succede o che statue e opere di epoca coloniale siano saccheggiate. «C’è la mano gruppi salafiti integralisti che attaccano qualsiasi sepoltura fuori dalla terra», ci spiega Wali. Il riferimento in particolare è a quei radicali che negli ultimi anni hanno devastato vari cimiteri e mausolei sufi, dediti al culto dei santi. Non si sono solo salafiti, in Libia lo Stato islamico sarebbe attivo a Sirte e Derna. Ma su questo punto il politico di Tripoli frena.

«Cosa significa Isis in Libia? Molto poco. Abbiamo incontrato uomini che dicono di essere Isis ma fanno politica da tempo. Al Cairo il figlio di Gheddafi ha detto che si tratta di ragazzi per bene.

Lo Stato islamico in Libia serve per favorire una parte contro un’altra, inclusa una parte del vecchio regime egiziano, ricattato da uomini come Ahmed Gheddaf el-Dam, rifugiatosi in Egitto con 22 miliardi di eredità lasciatigli da Gheddafi. Molti degli avvenimenti di Sirte sono causati da lui e altre persone che andrebbero semplicemente arrestate», ha concluso.