Il generale cirenaico Haftar è a un passo dalla conquista di Tripoli e quindi dell’ultimo lembo di Libia. Le sue forze armate, dopo aver spadroneggiato il mese scorso nel Fezzan intorno ai più grandi campi petroliferi – incluso quelli dell’Eni – si sono ritirate da lì per lanciarsi in una avanzata in Tripolitania.

Per il momento si sono attestate nell’area di Abu Hadi, vicino Sirte, città fino al 2016 roccaforte dell’Isis e prima di allora luogo della sconfitta definitiva e della morte del colonnello Gheddafi.

I sopraffattori di Gheddafi erano misuratini, della città-Stato di Misurata, in seguito architrave della milizia governativa Bunian al Marsus (Edificio dalle fondamenta solide) che ha riconquistato Sirte dopo un anno di assedio e quasi 800 morti. Bunian al Marsus è stata riconfermata in queste ore dal consiglio locale dei saggi unica milizia legittimata a Sirte, ma non sembra interessata ad allontanare Haftar. Piuttosto in attesa degli eventi.

Nel frattempo a Tripoli c’è grande agitazione. Ieri il portavoce del governo smentiva un attentato, a vuoto, contro il premier Serraj al suo arrivo all’aeroporto di Mitiga di ritorno dal Qatar dove ha incontrato Haftar il 27 febbraio insieme all’inviato Onu Salamè. E sempre ieri gli ambasciatori europei presenti nella capitale si sono dati appuntamento al capezzale politico di Serraj.

I rappresentanti di Austria, Belgio, Repubblica ceca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Svezia, Regno unito, Ungheria e Unione europea si sono autoconvocati per «uno scambio di opinioni sulla situazione politica e di sicurezza nel Paese» e per «sostenere il processo politico volto a porre fine al periodo di transizione», riporta il Libya Herald.

Al termine dell’incontro la delegazione Ue ha rilasciato una dichiarazione in cui si sottolineano i punti condivisi: dal sostegno alla missione Unsmil e all’inviato speciale Salamé, fino alla soddisfazione per la ripresa della produzione dei pozzi di Sharara nel Fezzan sotto la guida della compagnia libica Noc, passando per il ribadito impegno a sostenere elezioni «nazionali giuste e sicure il prima possibile». In caso di regime change, insomma, questi sono i paletti.