Il generale Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico, leader militare e de facto politico dell’autorità ribelle di Tobruk, continua il suo giro alle corti dei leader del mondo.

Dopo la visita in Francia insieme al rivale, il primo ministro del governo di unità al-Sarraj, ieri Haftar è arrivato a Mosca dove domani incontrerà il ministro degli Esteri Lavrov e il capo negoziatore Dengov.

«Ha chiesto di venire a trovarci e noi lo stiamo ricevendo», diceva ieri una fonte interna russa all’agenzia Interfax. E al-Sarraj? «Abbiamo contatti con Tripoli, ma la sua visita non è prevista nel prossimo futuro».

Sul tavolo ci sarà la questione calda quanto ingarbugliata della riconciliazione nazionale su cui Mosca da mesi ha messo gli occhi. Il presidente Putin ha scelto il generale Haftar (con cui ha concluso anche accordi militari) come interlocutore privilegiato, per poi «virare» verso un ruolo di mediazione che gli consenta di infilarsi nel fronte mediterraneo.

È della scorsa settimana la notizia, riportata dallo stesso Dengov, dell’intenzione russa di organizzare un trilaterale a Mosca che faccia sedere allo stesso tavolo al-Sarraj e Haftar.

La riconciliazione arranca: i dieci punti comuni partoriti a Parigi (tra cui la formazione di un governo unico e elezioni entro la prossima primavera) si sono tradotti in nuovi motivi di frizione poche ore dopo il ritorno in Libia dei due leader.

A monte il pit stop di al-Sarraj a Roma, dove il premier di Tripoli ha annunciato il via alla missione navale italiana lungo le coste libiche scatenando la reazione di Tobruk.

Di questo Haftar ha parlato venerdì in un’intervista al Corriere della Sera con la quale getta acqua sul fuoco che ha accesso minacciando di bombardare ogni nave straniera nelle acque libiche.

Acqua sul fuoco, ma solo in apparenza: dalle dichiarazioni di Haftar emerge il potere di cui gode in mezza Libia e il suo essere ormai imprescindibile ago della bilancia. Si sente tanto forte da presentare a Parigi una lista delle sue necessità militari contro l’immigrazione illegale, «20 miliardi di dollari» in droni, jeep, elicotteri, addestramento: dopotutto, dice, l’Europa ha dato sei miliardi alla Turchia che di migranti ne affronta molti di meno.

Blindare il confine sud è la ricetta di Haftar. E anche il mantenimento di buoni rapporti con l’Italia, che – sebbene non lo abbia consultato, dice, quando ha inviato la missione navale – definisce «eccellenti».

In realtà lo sono poco: Roma ha investito su al-Sarraj, lasciando Tobruk alla caccia di lidi più accoglienti, quali Parigi e Mosca. E la riconciliazione non è in fieri: l’intesa parigina ha avuto vita breve se poche ore dopo i due leader davano annunci discordanti e tesi a delegittimare l’altra parte.

Haftar ha dalla sua una potenza militare che non ha mai cessato di operare: ieri nuovi attacchi sono stati compiuti su Derna, città orientale dove è ancora presente il Consiglio della Shura dei mujahedin. Derna è sotto assedio e Haftar punta a farne una seconda Bengasi.