Il «generalissimo» Kalifa Belqasim Haftar mette piede a Roma. La visita è piuttosto eclatante, considerate le minacce che l’uomo forte della Cirenaica aveva lanciato all’Italia soltanto un mese fa, all’inizio di agosto, quando il suo rivale, il premier tripolino Fayez Serraj, aveva accettato l’arrivo di una nave da guerra italiana nel porto della capitale libica.

SCORTATO da un corteo di auto blindate, ha visto prima i vertici dell’Aise e il capo di Stato maggiore Graziano, poi la ministra della Difesa Pinotti e non invece il ministro dell’Interno Minniti che aveva già incontrato a Bengasi poche settimane fa – e pur non avendo diritto a un’accoglienza da autorità, comprensiva di inni, tappeti rossi e ricevimento alla Farnesina, è però stato ricevuto come interlocutore di primo piano.

UNA SVOLTA nelle relazioni con l’Italia, da lui sempre accusata di guardare alla Libia ancora come ad una «ex colonia» e ora ringraziata per l’accoglienza. Agli analisti internazionali non è sfuggita la valenza simbolica dello sdoganamento di Haftar – già appoggiato da Egitto e Emirati, in ottimi rapporti con la Russia – ora anche a Roma dopo Parigi in funzione di una riconciliazione e stabilizzazione dell’ex quarta sponda.

Non è invece chiarissimo il contenuto dei colloqui nei quali è stato impegnato per tutto il pomeriggio.

È quasi da escludere che l’argomento sia stato il subentro delle sue truppe nella protezione degli impianti dell’Eni a Mellitah. Anche se è vero che gli impianti Eni non sono lontani da Sabrata, snodo della tratta di esseri umani, dove da giorni le milizie legate allo stesso Haftar combattono, con 17 morti in una settimana di scontri, con la «brigata 48» guidata da Ahmed Dannashi, comandante di una milizia legata al governo di Tripoli ma accusato nei rapporti dell’Onu di essere un contrabbandiere di esseri umani e indicato, ieri in un duro editoriale pubblicato dal New York Times, di essere al centro dei «loschi» accordi dell’Italia per fermare il flusso di migranti verso le sue coste.

GLI AMERICANI non gradiscono lo sdoganamento di Haftar che pure conoscono bene visto che ha passaporto statunitense ed è vissuto esule per vent’anni in Virginia. Anche se il centro studi Stratfor ritiene ineludibile il suo coinvolgimento nei negoziati. Il fatto è che, lo conferma una doppia intervista a ex 007 sul quotidiano britannico Guardian, Haftar è stato istruito dalla Cia per preparare un colpo di Stato contro Gheddafi. Mentre oggi sono molti gli ex seguaci del Colonnello che lo sostengono nel parlamento di Tobruk , e non riconoscono l’autorità del premier Serraj, partner Onu oltre che dell’Italia.

TRA QUESTI c’è persino il figlio prediletto dell’ex rais, Saif al Islam, liberato dalle forze di Haftar che lo avevano in custodia non più tardi di tre mesi fa.

Il generale stesso ha parlato di un possibile ruolo politico di Saif Gheddafi nella nuova Libia e il 22 settembre, venerdì scorso, dopo aver lanciato la «road map» per un nuovo accordo di riconciliazione libico che superi quello di Skhirat del 2015, l’inviato speciale Onu per la Libia Ghassem Salamé, su France 24, è stato possibilista. Ha detto che sì, «il nuovo processo potrebbe includere anche Saif».

Passando sopra, evidentemente, la sua incriminazione all’Aja per crimini di guerra. Stessa accusa che pende anche sul capo delle forze speciali di Haftar, Mahmoud al Werfalli.

Ieri Salamè era impegnato a Tunisi ad avviare il negoziato per la legge elettorale e il referendum costituzionale della nuova Libia.