Default tecnico? «Una fandonia assurda». Il governo argentino rigetta così le definizioni che suonano di nuovo il De profundis per l’economia del suo paese. Alla mezzanotte del 30 è scattata l’ingiunzione di pagamento ai cosiddetti fondi avvoltoi, imposta dal giudice statunitense Thomas Griesa: nonostante ripetuti incontri, anche diretti, fra le parti, non si è trovato un accordo. I fondi speculativi, che hanno acquisito a basso costo titoli del debito argentino al momento del default del 2001, e si sono poi rivolti ai tribunali, continuano a pretendere il pagamento di 1.330 milioni di dollari più gli interessi.
Una pretesa accolta nelle ripetute sentenze emesse da Griesa e confermate il 16 giugno dalla Corte suprema, che ha respinto il ricorso argentino, rimandandogli la decisione. Gli altri detentori di fondi – il 92,4% – hanno invece accettato di rinegoziare il debito con Buenos Aires, nel 2005 e nel 2010. E ora attendono la rata concordata (539 milioni di dollari), inviata dal governo argentino entro il 30 giugno e da allora ferma nelle banche newyorkesi sempre per decisione di Griesa: che ne ha deciso l’embargo e ha intimato a Buenos Aires di «risarcire» i fondi avvoltoi entro il trenta luglio.

Una sentenza che – in base a una clausola contenuta negli accordi di ristrutturazione, che scade a gennaio dell’anno prossimo – aprirebbe la strada ad altre pretese analoghe, anche da parte dei fondi che hanno rinegoziato il debito.

Per questo, il governo argentino ha chiesto una sospensione della sentenza almeno fino a quella data, e ha proposto agli speculatori un accomondamento: «Gli abbiamo offerto un guadagno del 300%, ma lo hanno rifiutato perché vogliono di più e subito», ha detto il ministro dell’Economia argentina Axel Kicillo. Allo scadere dell’ultimatum, il ministro ha tenuto una conferenza stampa durante la quale ha riassunto i termini dell’inedita vicenda finanziaria dal punto di vista del suo governo e ha rigettato la definizione di «default tecnico» avanzata già nei giorni precedenti dall’agenzia di valutazione del credito, Standard & Poor’s: la somma ferma nelle banche nordamericane – ha detto Kicillof – indica che «evidentemente non si tratta di default, altrimenti quei soldi non starebbero lì».

Una posizione condivisa dai paesi progressisti e socialisti dell’America latina che, dal Venezuela al Brasile, all’Uruguay hanno sostenuto Cristina Kirchner e difeso il diritto dei paesi del sud alla propria sovranità. In Argentina e nel latinoamerica, da giorni si svolgono manifestazioni contro gli avvoltoi e lo strapotere della finanza internazionale. L’Argentina – sottolinea il governo Kirchner – è oggi in una situazione ben diversa da quella del 2001, quando dovette sospendere il pagamento di 100.000 milioni di dollari, equivalenti al 166% del suo Pil.

Un debito accumulato negli anni infausti della dittatura militare e alimentato dall’acquiescenza dei successivi governi ai diktat dei poteri forti internazionali, ha ricordato la presidente Kirchner in vari consessi internazionali.

Kicillof ha accusato Griesa di aver prodotto una situazione «inedita» e «senza precedenti», di assoluta parzialità nei confronti degli “avvoltoi”. E ieri, il governo argentino ha rincarato la dose, affermando di volersi rivolgere alla Corte internazionale dell’Aja e all’Onu.Buenos Aires ha puntato il dito sulle «cattive pratiche» della magistratura Usa, «indipendente dalla razionalità, ma non dai fondi avvoltoi». E ha denunciato la «evidente incompetenza» del mediatore Daniel Pollack, designato da Griesa: «Sfortunatamente non c’è stato accordo e l’Argentina cadrà in un imminente default», ha dichiarato Pollack allo scadere dell’ultimatum, aggiungendo: «Non è una mera questione tecnica, ma un episodio reale e doloroso, che nuocerà alle persone reali».

Capofila degli “avvoltoi” è il sessantanovenne miliardario statunitense Paul Singer, direttore della Elliott Capital Management. Un personaggio eccentrico, generoso col Partito repubblicano Usa e «difensore appassionato» dell’1% più ricco del paese, secondo la rivista Fortune. Un uomo molto influente a Wall Street, che conosce bene le strategie speculative di comprare debito quando il prezzo precipita per poi rivolgersi ai tribunali e reclamare il massimo guadagno.

Negli anni ’90 è riuscito così a intascare 43 milioni di euro dal Perù sborsandone solo 8 e altri 67 dal Congo, dopo averne pagati 15. In questi anni ha preso di petto la battaglia contro il governo Kirchner: nel 2012 è anche riuscito a bloccare per 70 giorni in un porto del Ghana la fregata dell’Armada argentina, facendo accogliere da un tribunale locale il ricorso presentato dal gruppo Nml Capital. Speculazioni che s’intrecciano al lavoro lobbistico dentro e fuori il Congresso Usa, evidenziando meccanismi e retroscena della finanza globale.

«La lobby dei fondi avvoltoi fa pressione sul governo Usa per impedire l’esportazione di carne argentina», ha denunciato in precedenza Kirchner affermando che gli “avvoltoi”avevano intentato circa 900 cause e tentativi di embargo contro il suo paese: per esempio attraverso aggregati lobbistici come l’American Task Force Argentina (Atfa).
Tra le soluzioni ipotizzati per trovare una via d’uscita, è emersa quella di un negoziato parallelo tra una cordata di banche e i fondi avvoltoi: trattative private che non implicherebbero direttamente il governo e le rivalse degli altri creditori. Salvaguardando gli interessi governativi, i banchieri argentini tutelerebbero poi anche i propri. E per qualcuno, come Jorge Brito, coinvolto nell’inchiesta per corruzione insieme al vicepresidente Amado Boudou, significherebbe anche un notevole salvagente, avanzano i detrattori di Kirchner. Ma per ora non c’è nulla di concreto. E Griesa ha fissato per oggi alle 12 (ora argentina) una nuova udienza a Manhattan, per decidere sull’embargo dei fondi.