Aveva da poco registrato il primo faccia a faccia con gli altri candidati a presidente di regione quando ha dovuto ingoiare un’altra polpetta avvelenata preparata in casa. Negli studi di Rai 3 Francesco Aiello non aveva fatto una bella figura. Il volto tirato tradiva l’emozione, si mostrava impacciato, troppo cattedratico.

L’economista della Unical prestato alla politica e aspirante presidente grillino, però, non si aspettava di certo che, a 15 giorni dalle elezioni (con l’hard quorum dell’8% appeso a un filo), Il Fatto sbattesse nelle proprie pagine la «notizia» secondo cui avrebbe un cugino mafioso. In uno stato di diritto un «fatto» risibile (Aiello risulta peraltro incensurato). Ma in una repubblica giustizialista tanto è bastato ad alzare il polverone.

Lancia in resta, è partito Nicola Morra, il presidente della Commissione Antimafia anche lui pentastellato. Tra i due non è mai corso buon sangue. Morra era il fautore della desistenza in Calabria, quel patto di non belligeranza che potesse spianare il terreno (cosa tutta da dimostrare) all’imprenditore del tonno in scatola Pippo Callipo nella corsa alla presidenza. Morra, dunque, non aspettava altro per emettere la sua personale inappellabile sentenza: «Non darò alcun sostegno alla lista. Mi sarei aspettato dal candidato Aiello maggiore pubblicità e trasparenza sulle sue parentele».

Lo «scoop» è che Aiello sarebbe cugino di primo grado dello ’ndranghetista Luigi Aiello, ucciso nel 2014 nella cosiddetta «faida del Reventino». In ballo c’è il controllo dei boschi del massiccio che si inerpica dalla Piana di Lamezia. Contrappone da vent’anni gli Scalise e i Mezzatesta. Secondo la magistratura antimafia Luigi Aiello era uno ’ndranghetista, un pezzo grosso, uno del «gruppo storico della montagna». Per i pm era affiliato alla cosca Mezzatesta, in grado di ordinare omicidi e fare estorsioni. Era chiamato «lo sceriffo». Aveva alle spalle una carriera da criminale d’alto rango. Tra il 1982 e il 1983 era stato condannato per omicidio preterintenzionale, rapina, furto, detenzione illegale di armi e tentata estorsione. Dopo aver scontato la pena, l’uomo non aveva mai abbandonato gli ambienti malavitosi. Se non fosse stato ucciso, probabilmente sarebbe stato spedito nuovamente in carcere. Era sospettato di aver partecipato all’omicidio di Daniele Scalise.

Bersagliato dal fuoco amico, Aiello prova a difendersi, anche se la sua sorte elettorale pare ormai segnata. «Peppino Impastato era figlio di un mafioso e nipote di un mafioso, ma non era mafioso. Ieri sera al Fatto Quotidiano – esclama – avevo già precisato che con mio cugino non avevo alcuna frequentazione. Io sono Francesco Aiello, punto. Questo non è giornalismo e così facendo si ferisce unicamente la democrazia, la libertà e la dignità individuale». Non pago, Morra ha attaccato pure il coordinatore della campagna elettorale grillina, il deputato Paolo Parentela, da sempre contrario al frontismo pro Callipo. «Spero che il coordinatore di queste elezioni non ne fosse a conoscenza. Ridursi all’ultimo minuto nella scelta dei candidati ti fa scontrare con problemi che non hai il tempo di affrontare e risolvere».

La storia del «cugino mafioso» comunque mette un po’ di pepe a una campagna scialba. I sondaggi continuano a dare la destra in vantaggio di venti punti. Ieri Matteo Salvini ha fatto tappa in Calabria. Prima a Rende con gli agricoltori, poi a Botricello e Crotone con i candidati. A Rende è stato contestato dai centri sociali. «Dai Salvini non nasce niente, dal letame nascono i fiori» era lo striscione di benvenuto. Ma con ogni probabilità i calabresi il 26 gennaio gli serviranno ahinoi una cena di gala.