In Cina, quando si arriva ad un processo c’è la certezza della pena. Tutti i procedimenti alla fine terminano con una condanna e non ha fatto eccezione Gao Yu, giornalista di 71 anni, arrestata nell’aprile del 2014 e condannata a sette anni di carcere per aver «fornito illegalmente a persone all’estero segreti di Stato».

Una pena pesante, con un’imputazione dura. Nella fattispecie, secondo l’accusa, Gao Yu avrebbe diffuso il noto «documento numero 9», dopo averlo ottenuto, fotocopiato e poi inviato fuori dal paese. Il «documento numero 9» è un testo interno al partito, scritto appositamente dalla leadership per i funzionari di livello inferiore. Alcuni stralci vennero pubblicati dal New York Times due anni fa (ed esattamente un anno dopo Gao Yu sarebbe stata arrestata). Nel documento venivano criticati i cosiddetti «concetti universali» dell’Occidente, in particolar modo la libertà di parola e i diritti umani. Nel «documento numero 9» si avvisavano i funzionari di partito di stare in guardia contro questi valori e il loro utilizzo compiuto dalle potenze occidentali, con il duplice scopo di screditare la Cina nell’immaginario collettivo e irretire i quadri del Partito. Si trattava di un insieme di avvertenze, contro quella che in Cina viene definita la «corruzione spirituale», un insieme di sistemi valoriali da cui guardarsi, che Xi Jinping sembra tenere in gran conto. Nel testo trovava spazio anche una critica alla democrazia occidentale, che ricalcava i toni e le argomentazioni usate spesso dalla dirigenza di Pechino. La condanna contro l’autrice di articoli molto duri contro la dirigenza cinese, recentemente pubblicati sul magazine tedesco Deutsche Welle, è l’ennesimo vivido esempio di come negli ultimi tempi l’ondata di arresti di intellettuali, giornalisti e «dissidenti» pare non aver fine, rendendo la leadership di Xi Jinping ormai famosa per il suo pugno duro contro ogni forma di dissidenza (al momento sarebbero 14 i giornalisti in carcere).

Non è la prima volta che la giornalista Gao Yu si trova a dover affrontare la durezza del sistema penale cinese. Nel 1989 era stata accusata di aver scritto articoli – sul suo magazine Economic Weekly – destinati a infiammare le proteste e venne condannata a 15 mesi di reclusione. Per Gao come per tanti altri, quell’arresto fu un marchio impresso per la vita. Tutte quante le persone arrestate in occasione delle manifestazioni di Tiananmen rimangono controllate nel tempo; ad ogni scadenza, ogni 4 giugno, di ogni anno, vengono tenuto sotto controllo. E proprio la mancata partecipazione di Gao a una celebrazione del 4 giugno, lo scorso anno, ha preoccupato i suoi conoscenti. Si è così scoperto che Gao Yu era agli arresti, dal 24 aprile.

Ma le vicissitudini della giornalista trovarono un altro momento dirimente tra il 1993 e il 1999: sei anni di carcere, perché accusata di aver diffuso segreti di Stato. Anche in quel caso l’accusa sosteneva che Gao Yu aveva criticato duramente la leadership, consegnando documentazione riservata ad Hong Kong. Come sottolineano gli avvocati di Gao anche dopo la recente condanna di sette anni, non ci sono prove della colpevolezza di Gao, che si è sempre dichiarata innocente. La nota giornalista, in realtà, le colpe le aveva ammesse, ma in diretta tv. Gao ha dovuto subire la gogna di una confessione in televisione, salvo poi ritrattare tutto e sostenendo di essere stata costretta e di aver subito minacce ai suoi figli.