Boobie Miles ha un ginocchio ridotto piuttosto male dopo che a Abilene quelli dei Copper Cougars si sono scatenati in una vera caccia all’uomo contro di lui. Suo zio che da bambino l’ha salvato dall’orfanotrofio però non si rassegna, lo immagina diventare il miglior running back nella storia della Permian High School, quasi un simbolo per tutti i ragazzi afroamericani cresciuti oltre i binari della ferrovia che dividono in due la città, in quella zona del Southside dove vivono i neri poveri e i messicani.

Jerrod McDougal attende che arrivi l’ora degli allenamenti seduto nel suo pick-up Chevy nero con lo stereo che spara al massimo i Bon Jovi. È il suo modo di rilassarsi, tra il martellare della batteria e la chitarra che sembra graffiata con le unghie. Trovare la giusta forma fisica e mentale prima di scendere in campo, anche se solo per una partitella tra compagni. Per lui il football domina l’orizzonte: è consapevole che il suo ruolo di appoggio al quarterback, il regista della squadra, non lo vede eccellere, anche perché non supera il metro e settantacinque, forse non gli concederà la chance di iscriversi a qualche università famosa, ma ora lo aiuta a non prendere troppo sul serio né la scuola né il lavoro nel business del petrolio dove arranca l’impresa di famiglia, messa su con lacrime e sudore dal padre, per colpa del calo del prezzo del barile.

H. G. Bissinger

PER IVORY CHRISTIAN la vigilia di ogni gara fa emergere tutta l’ambivalenza che lo lega a quello sport. I conati e il vomito accompagnano sempre l’ultima ora passata nello spogliatoio, al punto che i compagni non ci fanno più caso. È un mediano della difesa, forte, agile, veloce ma quel ruolo di «mister macho» che si vede appiccicare proprio non gli va a genio. In realtà, neanche a vincere ci tiene un granché, ad affascinarlo è soprattutto la primitiva barbarie del football. Per il resto, si aspetta molto poco, non crede alla favola che prima o poi li avrebbe portati, tutti loro, lontani, in una bella università grazie al reclutamento di una squadra prestigiosa. Alla fine di tutto, pensa, sarà comunque costretto ad arruolarsi nei marine o, magari, riuscirà a infischiarsene e, acquistato un camper Winnebago, filerà via lo stesso, ma per girare il Paese senza alcun obbligo.

Come personaggi di un romanzo di formazione, i giovani protagonisti di Friday Night Lights (66thand2nd, pp. 408, euro 20, traduzione di Leonardo Taiuti), probabilmente il libro più affascinante che sia mai stato scritto sul football (americano) raccontano ciascuno il proprio destino, inconsapevoli come dall’intreccio delle loro vite emerga un ritratto largo e per certi versi compiuto della società americana. Riconosciuto capolavoro di H. G. Bissinger, uno dei maggiori giornalisti d’inchiesta statunitensi, già vincitore del Pulitzer per un reportage sulla corruzione del sistema giudiziario di Philadelphia, il volume, uscito nel 1990 oltreoceano e fino ad ora inedito nel nostro Paese, ripercorre le tappe dell’indagine che lo stesso cronista scelse di condurre nel 1988 trasferendosi per un anno intero con moglie e due figli piccoli dalla costa orientale alla cittadina di Odessa, West Texas.

L’OBIETTIVO DICHIARATO era quello di misurare, all’indomani della straordinaria stagione di vittorie conosciuta dalla squadra locale, i contorni dell’apparente mistero che circonda il fenomeno del football scolastico: la base di massa dell’intero sistema sportivo del Paese, ma anche qualcosa «capace di tenere insieme una città intera, di mantenerla in vita». E, per questa via, tracciare le coordinate sfuggenti e in qualche modo mutanti dell’identità americana.

Con il suo profilo di boomtown emersa quasi dal nulla dopo che nel sottosuolo erano stati scoperti dei vasti giacimenti di petrolio, Odessa aveva attratto immediatamente l’attenzione di Bissinger: la città «inventata» aveva saputo trovare, o era stata costretta a farlo, la propria «anima» nel gioco della palla ovale.

FIN DAGLI ANNI VENTI del Novecento, Odessa si era imposta «come snodo per la distribuzione di attrezzature petrolifere», crescendo «in un mese più di quanto non avesse fatto nei dieci anni precedenti, inondata da lavoratori di ogni genere chiamati semplicemente boomer». Questi, si «recavano in città una volta alla settimana, luridi, puzzolenti e neri di petrolio e sporco rappreso, per farsi un bagno e radersi nella bottega del barbiere. I bambini li guardavano con tanto d’occhi ogni volta che si facevano vivi, perché era inimmaginabile, perfino per gli standard di un bambino, che esistessero persone sudicie fino a quel punto».

Prima del petrolio, e del football, c’era stata la storia di una truffa di terreni da pascolo venduti da un’agenzia dell’Ohio, l’emigrazione dal Midwest di una comunità metodista di origine tedesca, un’abitudine a risolvere a pistolettate ogni controversia che da centro sospeso tra il vecchio Sud e il selvaggio Vvest, la città si è portata dietro fino agli anni raccontati nel libro, quando arrivò a dominare le statistiche federali sul numero di omicidi in proporzione al numero di abitanti. E anche il razzismo, malgrado la rigida divisione delle zone della città sulla base del colore della pelle dei residenti, divenne meno visibile, ma si era già negli anni Settanta, proprio a partire dalla desegregazione operata dalla squadra di football del liceo.

Per il resto, perfino tra i giocatori diciassettenni che ogni weekend erano osannati da oltre ventimila persone stipate sugli spalti dello stadio locale, c’era la consapevolezza di appartenere ad un luogo, dove anche al di là del «ciclo boom-crisi tipico delle città petrolifere», si aveva la sensazione costante di essere lontani da tutto, in qualche modo esclusi dalla normalità della vita. Fino a chiedersi, come fa Bissinger, «a quali valori si può aggrappare la gente che decide o continua a vivere lì, che cosa ritiene importante?». E trovando nella risposta a questo quesito, il significato stesso della propria indagine. «In mancanza di skyline scintillanti, le varie Odessa d’America hanno tutte trovato un’alternativa valida in cui riversare le proprie speranze. Nell’Indiana è il tunk-tunk-tunk di una palla su un pavimento di parquet. In Minnesota è lo stridio dei pattini sul ghiaccio. In Ohio e Pennsylvania, in Alabama e Georgia, in Texas e in decine di altri Stati è l’evento settimanale conosciuto semplicemente come Venerdì Sera».

BEL OLTRE LE 100 IARDE del campo di gioco regolamentare, il football scolastico sembra così descrivere uno spazio dell’immaginario, dell’identità, una leggenda e una storia profonda e duratura. A Odessa come altrove è la fotografia di comunità e luoghi non solo isolati ma anche impenetrabili «che hanno accusato tutti i dolori dell’America senza che nessuno se ne accorgesse, posti che esistono solo in funzione di sé stessi, come isole, i cui unici legami con le grandi città sono la bandiera e l’inno nazionale durante gli eventi sportivi». Il genere di posti «che si vedono dall’aereo quando capita di guardare fuori nelle notti più limpide, un agglomerato di puntini che spezza il paesaggio spoglio con le sue venature finché non diventa, di nuovo, un vuoto tetro e infinito».

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BIBLIOGRAFIA Touchdown in forma di romanzo da Fitzgerald a Don DeLillo

«Ai miei tempi c’era un tale a Princetown che non andava mai alle partite. Passava il sabato pomeriggio a scovare dettagli insignificanti sull’atletica nell’antica Grecia (….) In seguito ha scoperto i giocatori di football (…) Ma in passato lo spettacolo che aveva davanti agli occhi lo lasciava indifferente, perciò dubito della bontà del suo giudizio su ciò che è bello, ciò che è notevole, ciò che è divertente». F. Scott Fitzgerald non faceva mistero del proprio amore incondizionato per il football, al punto di chiamare Amory Blaine il personaggio principale del suo primo romanzo, Di qua dal paradiso, un nome davvero molto simile a quello di uno dei protagonisti dello storico scontro tra le squadre di Princeton e Yale cui lo scrittore aveva assistito da universitario, nel 1911. Se in Fuori dai giochi, la bella raccolta di scritti «sulla grazia, l’agonismo e il corpo» pubblicata da 66thand2nd nel 2014, emerge tutta l’intensità di questa passione di Fitzgerald, del quale si può dire che l’interesse per la scrittura crebbe proporzionalmente alla sua frustrazione come giocatore, da questo punto di vista non era dotato di grande talento, è a un protagonista attuale della letteratura statunitense che ci si può rivolgere per una traduzione ulteriore di tale sentimento. In End zone (Einaudi, 2014), il suo secondo romanzo pubblicato in America nel 1972, attraverso la stagione di vittorie senza precedenti della squadra del Logos College – del Texas occidentale come l’Odessa di H. G. Bissinger -, è Don DeLillo a guidarci alla scoperta di alcune delle sue ossessioni: la Guerra fredda, il rischio dell’apocalisse nucleare. «Rifiuto il parallelismo tra football e guerra, la guerra è guerra. Non abbiamo bisogno di succedanei dal momento che abbiamo l’originale», afferma però uno dei personaggi non prima di ammettere, «alcuni di noi erano persone molto semplici, altri si potevano definire reietti o esuli, tre o quattro, come capita in ogni squadra di football, erano pazzi». Una trasferta nel Michigan per intervistare un ex giocatore di football vittima di un terribile incidente è invece nei programmi del giornalista sportivo Frank Bascombe in Sportswriter (Feltrinelli), il primo capitolo della saga letteraria firmata da Richard Ford, dove il senso della sconfitta e della perdita inseguono un personaggio indeciso prima di tutto proprio sul suo scarso amore per lo sport.

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Domani notte il 54° Super Bowl

Negli Usa è l’appuntamento sportivo più atteso dell’anno cui assistono in media oltre 130 milioni di americani. Il Super Bowl n°54 si giocherà domani notte – alle 00.40 ora italiana – all’Hard Rock Stadium di Miami, Florida, e vedrà contrapporsi i San Francisco 49ers e i Kansas City Chiefs. Tra il secondo e il terzo tempo, ogni partita è divisa in quattro quarti, si esibiranno Jennifer Lopez e Shakira. In Italia si potrà seguire in streaming su Dazn o in chiaro sul Canale 20 del digitale terrestre.