In condizioni normali un trionfo al campionato europeo del Portogallo sarebbe stata di per sé una festa in quel di Bissau. Poco importa se “indiretta” e cioè del paese padrone, che in questo angolo di Africa ha fatto la voce grossa, comandato, schiavizzato.

Ma in Guinea, in Guinea Bissau, tra i paesi più poveri al mondo, si è gioito per davvero, più volte nel giro di un mese, per meriti propri, che nemmeno il più accanito degli ottimisti avrebbe potuto prevedere: il gol che ha deciso la finale di Euro 2016 di Éder – all’anagrafe di Bissau, dov’è nato, Éderzito António Macedo Lopes – fuggito con la famiglia in terra lusitana, a Coimbra, all’età di 8 anni, ha riempito di orgoglio un paese che pochi giorni prima era letteralmente esploso di gioia per un altro successo, ancor più storico. La prima qualificazione a una fase finale di un torneo internazionale, in questo caso la Coppa d’Africa, che si svolgerà tra gennaio e febbraio del prossimo anno in Gabon.

Giocatori e predatori

Il complesso d’inferiorità nei confronti dell’ex stato sovrano, in pochi giorni, grazie al calcio, si è polverizzato: la nazionale degli Djurtos (così sono soprannominati i giocatori della selezione, come i licaoni, canidi predatori dell’entroterra) ha fatto breccia nel cuore di tutti e, grazie a Éder, djurto di sangue, il nome della Guinea Bissau ha fatto il giro del mondo. Ma se dell’esito di Euro 2016, del fatto che il goleador carneade del Lille abbia una storia strappa-lacrime alle spalle con un padre in carcere per l’omicidio della matrigna, non si è mai “grattato” fino in fondo per far luce sulla straordinaria impresa della nazionale africana.

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In senso assoluto, questa gioia è arrivata, appunto, dopo decenni di sconfitte e, in molti casi, ritiri per mancanza di fondi che sostenessero le trasferte. Un risultato che ha dell’incredibile, visto che questa squadra occupa il 133esimo posto del ranking Fifa e che il calcio, da queste parti, ha sempre stentato sulle piane sterrate. Per le strade polverose della capitale Bissau è stato – e lo è tuttora, al solo pensiero di quel che sarà tra qualche mese – il delirio più assoluto. Perché di soddisfazioni, la Guinea Bissau, non ne ha mai avute. Le maglie da calcio indossate (per chi ne possiede una) per festeggiare portavano tutte stemmi portoghesi. Qui è il Benfica ad andare alla grande e Cristiano Ronaldo è ovviamente osannato. Poi, magari, vengono Porto e Sporting Lisbona. Squadra questa appartenuta al commissario tecnico – portoghese – che ha firmato l’impresa della Guinea Bussau e ora è considerato il salvatore della patria, il 44enne Paulo Torres, ex difensore, giunto qui quasi in missione. Prima di essere assoldato a ct della nazionale si era ritrovato a guidare i ragazzi dello Sporting Bissau, emuli (anche per colori sociali) degli idoli di Lisbona.

Nel 2014 Torres ha preso il posto di mister Luis Norton de Matos, guarda caso nipote di José Norton de Matos, generale esiliato nelle indie, ex leader democratico e nemico di Salazar, seppur profondo sostenitore del Portogallo colonialista, tanto da aver scritto il libro Africa Nossa.

Sotto la guida di Paulo Torres, la Guinea Bissau, viene inserita nel girone E: 13 gironi, in cui, per staccare il passaggio a Gabon 2017 bisogna piazzarsi al primo posto o, tutt’al più, risultare una delle due migliori seconde. Già così, sembrerebbe un’impresa impossibile. Ancor di più se nello stesso raggruppamento, ti ritrovi di fronte a due “big” del calcio africano come Congo e Zambia.

Sono loro, alla vigilia, a giocarsi la testa della mini classifica. Lo sono anche dopo i primi due incontri, in cui la Guinea Bissau inizia pareggiando 0-0 contro lo Zambia (vincitore della Coppa nel 2012 con Hervé Renard) e perdendo sonoramente tra le mura amiche, 4 a 2, proprio contro il Congo. Quindi, il miracolo: due successi di misure contro il fanalino Kenya (comunque considerato più attrezzato) e la rocambolesca vittoria per 3 a 2 contro lo Zambia. Minuto numero 97 (!): Toni Silva, attaccante União Madeira, subentrato dopo un’ora di gioco, viene involontariamente lanciato da un errato retropassaggio della difesa avversaria. Corre proprio come un djurto, il numero 15, facendo secco il portiere zambiano ed esplodere l’affollatissimo Estádio Nacional “24 de Setembro” con la gente arrampicata perfino sui tralicci dell’impianto di illuminazione.

Il giorno dopo accade un miracolo ancor più grande, se possibile: a sorpresa, il Kenya super 2-1 il Congo e la Guinea Bissau è aritmeticamente prima a una giornata dalla fine del girone, prevista a inizio settembre.

C’è anche un “italiano”

Prima di Toni Silva, le firme del centrocampista Zezinho – dello Sporting Lisbona “B” – e della punta Frédéric Mendy dell’Estroril Praia. Tutti e tre si dilettano nelle squadre delle serie inferiori, o comunque di seconda fascia del massimo campionato portoghese, come del resto la quasi totalità della rosa. Nell’undici titolare, c’è anche un “italiano”: Idrissa Camarà, ala destra della Correggese (serie D).

Sono questi, gli eroi – a cui il nuovo ministro delle Comunicazioni ha promesso una medaglia all’onore – che stanno facendo gioire un popolo intero. Ancora sconvolto dalle scorie di Ebola, che ha picchiato duro in quella porzione dell’Africa occidentale. E totalmente disorientato da una situazione politica disperata e continuamente macchiata di sangue e colpi di scena. Tra gli ultimi c’è la morte nel 2009 a Parigi del presidente Malam Bacai Sanhá per le conseguenze dovute al diabete. L’oscurantismo sulle sue condizioni di salute gettò il panico nel paese, sfociato – dopo una serie infinita di tumulti – al golpe militare del 2012, il cui governo permane tuttora.

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All’insegna della paura e della delinquenza dilagante: la Guinea Bissau è infatti considerato uno dei paesi più pericolosi al mondo e in costante apnea in quanto a diritti civili. Per non parlare delle estreme condizioni di povertà: oggi, migliaia di famiglie, per un totale di 1,7 milioni di persone, vivono con meno di 60 dollari al mese. «Il calcio può fare aprire gli occhi del mondo sulla nostra gente. Noi ce l’auguriamo, noi ce l’abbiamo messa tutta: la speranza è che qualcosa possa finalmente cambiare», ha rivelato al manifesto il capitano della nazionale guineense Bocundji Ca, nato a Biombo e fuggito con la famiglia in Francia da bambino. «Mi è venuta la pelle d’oca a vedere segnare il mio amico Éder – aggiunge il laterale guineense Eridson Mendes – nella finale di Euro 2016: è il simbolo di chi ce l’ha fatta nonostante una vita difficilissima. E lo è anche il nostro successo: si parla spesso, forse a sproposito, di vittorie storiche… La nostra qualificazione alla Copa d’Africa 2017, lo è stata per davvero».

Curiosamente, l’impresa dei Djurtos datata esattamente 4 giugno, ha coinciso con la morte di Carmen Pereira, ex guerrigliera che ha combattuto per l’indipendenza della Guinea Bissau e nel 1984 è diventata la prima donna in tutta la posizione più importante nel governo di un paese africano. La sottomissione ai portoghesi (che, dopo il grande esodo, rappresentano solamente lo 0,06% della popolazione) è durata ben 385 anni. La fine della lotta per il colonialismo si è concretizzata solo nel 1973, anche se ha cominciato ad essere pianificata quasi due decenni prima, per poi essere guidata dal Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e Capo Verde. Isole che sfiorarono, due anni fa, la qualificazione ai Mondiali brasiliani. Che storia sarebbe stata, anche quella…