Joni Seager, L’Atlante delle donne, Add Editore
Come vivono le donne nel mondo? Intorno a questa domanda centrale, Joni Seager, docente di Global Studies alla Bentley University del Massachusetts e geografa femminista, costruisce un atlante che risponde a molte altre domande. Usando il linguaggio eloquente dei dati, dei grafici, delle statistiche, della tabelle, Seager esplora per tematiche l’universo della condizione femminile. I nove capitoli, da Le donne nel mondo a Potere passando per Diritti di nascita, Politica del corpo, Istruzione e connettività… vengono affrontati per voci che li analizzano nei dettagli. Possedere la terra, Possedere la casa, Eredità, Povertà, Ricchezza, Avere un conto in banca sono, ad esempio, le voci del capitolo Proprietà e Povertà. Tramite un lavoro che non è banale definire ciclopico, alla domanda centrale l’Atlante risponde che, nel Terzo Millennio, troppe donne in troppi paesi del pianeta, compresi quelli dove l’aggettivo ‘progredito’ è di uso corrente, non hanno diritto a un’esistenza degna di venir definita tale. Dentro e fuori le mura di casa. Per averne prova, se mai bisogno ce ne fosse, basterà leggere le nude cifre di Tenere le donne al loro posto, o del capitolo dedicato alla salute.

Bruno Fuligini, Illustrazioni di François Moreno, Atlante delle zone extraterrestri, L’Ippocampo
Sono passati poco più di settant’anni, era il 1947, volendo essere precisi, dai primi avvistamenti di dischi volanti, poi catalogati sotto la sigla UFO (Unidentified Flyng Object). Da allora, il conto delle segnalazioni si è perso, come quello delle associazioni ufologiche, delle teorie più strampalate, dei mitomani, dei falsi profeti. In tutto ciò, alcuni fatti particolarmente inspiegabili hanno indotto i governi di vari paesi a mettere al lavoro scienziati, militari e perfino i servizi segreti, per raccogliere e analizzare migliaia di dati. Nell’immenso catalogo che andato formandosi compaiono in numero non esiguo apparizioni extraterrestri avvenute ben prima del ventesimo secolo e ben diverse dai dischi volanti. Le ricerche di Foligni, minuziose come le mappe di Moreno, vanno a ritroso nel tempo, indagano fenomeni di ogni genere e di ogni secolo, riportano affermazioni sottoscritte e resoconti. Ne viene fuori un vero e proprio Atlante antropologico, che evidenzia come, da sempre, l’umanità di tutti e cinque i continenti abbia bisogno di credere nell’esistenza di altri mondi oltre i confini del nostro. E in tal modo provi a esorcizzare, a dirottare, le proprie, quotidiane, paure.

Jonathan Drori, Illustrazioni di Lucille Clerc, Il giro del mondo in 80 alberi, L’Ippocampo
In tema di alberi, confessiamo la nostra personale e colpevole ignoranza. Stentiamo, cipressi a parte, ad assegnare loro un nome, li confondiamo, nulla sappiamo di loro. Ci consola il fatto di essere, molto probabilmente, in buonissima compagnia. Ma ciò non impedisce che ad ogni passeggiata in un parco o in un bosco, si affacci in noi un piccolo rimorso di coscienza. Grazie, quindi, al britannico Drori, ambasciatore del WWF e per diversi anni amministratore del Royal Botanic Garden di Kew e del Woodland Trust. Ciascuna tappa del suo giro del mondo arboreo, illustrato dalla mano magica e delicata di Lucille Clerc, è un racconto che amalgama in una lettura di grande piacevolezza scienza botanica, medicina, geografia, storia, cultura, credenze e tradizioni popolari, aneddoti. Gli ottanta alberi presi in considerazione dall’autore sono divisi per aree e sotto aeree: Europa, Nordafrica, Mediterraneo Orientale, Africa, Asia, Sudest asiatico, Oceania e Americhe. Scoprirete, così, tutto della betulla, del platano, del faggio, delll’ippocastano. Ma anche del Kapok, del Pipal, del Ciliegio Yoshino, dell’Ailanto della guttaperca. E dell’avocado, che i maya chiamavano ahuacatl, albero dei testicoli.

Marino Amodio, Illustrazioni di Vincenzo Del Vecchio, Terraneo, Gallucci Editore
Terraneo era un’isola. Vista dall’alto, la sua forma appariva identica a quello del Mare Nostrum. «Lunghi e continui erano i cammini che l’attraversavano e molti i viaggiatori che percorrevano le sue strade. Ogni costa e ogni popolo parlava al mare a suo modo. Nessuno, però, poteva fare a meno di guardarlo». Terraneo era circondata dall’Oceano Sahara, dal Mare freddo del Nord, dal Mare di Algeria, dal Mare dei Mostri, dall’Oltremare settentrionale: acqua che incuteva paura, rendeva prigionieri, metteva desiderio di superarne l’orizzonte. Se Venezia nacque dalla rassegnazione e dell’acqua provò a far parte, Il Cairo fu costruita in verticale per riuscire a vedere lontano; ad Atene le colonne erano preghiere rivolte alle onde; i minareti di Istanbul accoglievano i sognatori di mondi liberi.
«… Quando tutti gli occhi dell’isola furono stanchi di aspettare invano, non rimase altra possibilità che svuotare quell’immenso mare. Fu così che… per soddisfare questo umano desidero di conoscenza, l’acqua prese il posto della terra e la terra il posto dell’acqua». Parole e disegni che reinventano il mito del Mediterraneo. Italo Calvino e Le città invisibili, Predrag Matvejevic e Breviario Mediterraneo.

Silvio Valpreda, Capitalocene, Appunti da una nuova era, Add Editore
Al sociologo britannico Jason W. Moore si deve il neologismo ‘Capitalocene’, da lui coniato nel 2016. Con questo termine, Moore identifica un’epoca, la nostra, in cui i parametri fondamentali che regolano il pianeta non hanno più riferimenti biologici, ma di carattere esclusivamente economico. In soldoni: al capitalismo interessa riprodursi ovunque per accumulare ricchezza, e a tal fine condiziona, sottomette, l’esistenza e le azioni di uomini e natura. Il Capitalocene si muove in maniera differente a seconda delle specifiche realtà; agisce allo scoperto, oppure sa nascondersi dietro una maschera rassicurante; è capace di trarre risorse anche dove, in apparenza, non ne esistono. Silvio Valpreda, artista concettuale e scrittore, lo ha verificato nel corso di cinque viaggi in luoghi tra loro distanti non solo guardando ai chilometri che li separano: il parco naturale africano di Serengeti, la Scozia, la Norvegia, il Giappone, Miami e l’isola corsa di Lavezzi. I suoi racconti, tanto scarni quanto efficaci, si sviluppano accostando le parole alla grafica di illustrazioni e foto rielaborate. Se avete figli, scoprite con loro cosa significhi Capitalocene, e quanto Moore e Valpreda abbiano colto nel segno.

Irene Ranaldi, Passeggiando nella periferia romana, Iacobelli editore
Irene Ranaldi è ricercatrice presso la facoltà di sociologia a La Sapienza di Roma, presidente dell’associazione culturale Ottavo Colle e, marchio di garanzia, romana doc. Nel 2012, per Franco Angeli editore, ha pubblicato Testaccio, da quartiere operaio a village della capitale, e per Aracne, due anni dopo, Gentrification in parallelo. Quartieri tra Roma e New York. Il suo terzo lavoro, come esplicita il sottotitolo, focalizza la propria attenzione sulla nascita delle borgate storiche. Tutto cominciò, spiega Ranaldi nel ben documentato capitolo introduttivo, dal Piano Regolatore del 1931, che stabilì la costruzione di dodici borgate ufficiali a Roma. Quanto al termine ‘borgate’, perché negarvi la sorpresa di scoprirne l’etimologia? Queste dodici periferie nelle periferie, sostiene (e racconta) l’autrice, possono rappresentare altrettanti e significativi itinerari ad uso del turista che delle tante anime di Roma vuole cercare di comprendere, o almeno di intuire, l’immensa complessità urbana e sociale. Proposta audace, non c’è dubbio. Ma anche qui, da Acilia al Trullo, da Pietralata al Tufello, mille miglia lontano dal Colosseo e da Trastevere, la Città Eterna riesce ad affascinare.