Cultura

Guggenheim, il museo che ha cambiato Bilbao

Guggenheim, il museo che ha cambiato BilbaoYayoi Kusama, «Infinity Mirrored Room. A Wish for Human Happiness Calling from Beyond the Universe, 2020 – Courtesy Ota Fine Arts, ©Yayoi Kusama, Bilbao, 2022

Arte Per festeggiare i primi 25 anni di vita, l'edificio progettato da Frank Gehry sfodera la sua portentosa collezione. Prima, il fiume Nervión che lo circonda era solo un corso d’acqua marrone, pieno di rifiuti industriali, oggi è una piacevole passeggiata

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 4 novembre 2022

Venticinque anni non sono tanti nella storia della cultura visuale. Si possono determinare cambiamenti minimali, assestare linguaggi e iconologie già esistenti, condivisi tra la community degli addetti ai lavori, o si può creare invece una nuova scena che apporta cambiamenti significativi. È ciò che è accaduto a Bilbao con la costruzione del museo Guggenheim. Un esempio paradigmatico di come l’industria culturale possa mutare il volto di una città e la vita dei suoi abitanti.

QUANDO FU INAUGURATO il museo, nel 1997, Bilbao era una città che attraversava una profonda crisi economica. Importanti settori dell’economia tradizionale, come l’industria mineraria, erano in uno stato di declino terminale, con una forte disoccupazione, che raggiungeva anche il 40 % della popolazione attiva. E il terrorismo dell’Eta colpiva duro.

Consapevoli che la città necessitava di innestare un processo di trasformazione, politici, operatori culturali e imprenditori videro nella costruzione del Museo un catalizzatore per un cambiamento necessario, inscritto in un progetto più ampio di trasformazione urbana. Prima del Guggenheim, il fiume Nervión era un corso d’acqua marrone che raccoglieva e trasportava rifiuti industriali. Oggi, nella zona fluviale di Abandoibarra (dove si trova il museo) è piacevole passeggiare, grazie anche alla passerella pedonale che è stata costruita.

El Anatsui, Rising Sea, 2019

Sezioni/Intersezioni: 25 anni della Collezione del museo Guggenheim Bilbao è la mostra che festeggia il suo quarto di secolo di vita. Né didascalica né celebrativa, presenta in tutti i piani di quella straordinaria macchina scenica che ha permesso a Frank Gehry di raggiungere il prestigio internazionale, una selezione delle centoquarantacinque opere – di cui centotrenta esposte – acquisite dall’istituzione fin dalla sua apertura. Acquisizioni nate senza fretta, grazie ai prestiti che potevano provenire dal Guggenheim di New York o da quello di Venezia, cercando di collezionare, in modo equilibrato, artisti internazionali, baschi e spagnoli.

Sezioni/Intersezioni è stata ideata come una trilogia: segue una timeline storica, cercando però innesti con gli ultimi linguaggi della contemporaneità.

INIZIA DAL TERZO PIANO, con opere dell’astrattismo newyorkese del dopoguerra. Ai dipinti di Willem de Kooning, Mark Rothko, Lee Krasner, Clifford Still, Robert Motherwell, seguono le sale con artisti spagnoli astratti di diverse generazioni, con le opere di Eduardo Chillida, Jorge Oteiza, Antoni Tápies, Cristina Iglesias. Nelle sale successive troviamo le opere Pop di James Rosenquist, Andy Warhol, Gilbert & George, Jeff Koons, per terminare con l’ultima opera acquisita dal museo, Mare in aumento (Rising sea) dell’artista ghanese El Anatsui.

È un’imponente scultura metallica realizzata deformando tappi di bottiglie di liquore, cuciti tra loro con fili di rame per creare pannelli che formano sculture monumentali di grande bellezza. Anatsui utilizza quei materiali per raccontare la storia del colonialismo: gli alcolici erano una delle mercanzie che gli europei portavano in Africa per scambiarli con schiavi, mentre il titolo sottolinea l’emergenza dei cambiamenti climatici in atto.

Al secondo piano, Maite Borjabad ha selezionato opere di artisti che abbracciano contraddizioni e ambiguità senza tentare di risolverle. Artisti che registrano e indagano sulle forme della contemporaneità evitando di suggerire narrazioni o soluzioni univoche.

Ernesto Neto, White Bubble, 2013–17

A OPERE ICONICHE di carattere performativo come La grande Anthropométrie bleue di Yves Klein, agli Action Paintings di Yoko Ono e alle installazioni di Ernesto Neto, seguono le sale dedicate a Christian Boltanski, Francesco Clemente e a George Baselitz. Di quest’ultimo è presentata la serie Mrs Lenin and the Nightingale, sorta di parodia sui totalitarismi dello scorso secolo, dipingendo insieme Lenin e Stalin. E ancora Alex Katz, Joseph Beuys, Anselm Kiefer, Thomas Struth con la serie Museum Photographs, che indaga i modi in cui vengono fruiti i musei nella società contemporanea. «Questa serie ci è particolarmente cara – afferma la curatrice Lucia Agirre – perché crediamo fermamente nella vocazione educativa dei musei. Siamo qui per avvicinare i cittadini alla cultura, non solo i turisti, che di certo non mancano. E la popolazione locale ha sempre risposto con partecipazione alla nostra programmazione pubblica».

La mostra termina al primo piano con le installazioni di Doris Salcedo, Mona Hatoum, Richard Long, Susana Solano, Itziar Okariz e con una delle ultime opere realizzate da Yayoi Kusama, Stanza degli specchi infiniti – Augurio di felicità per l’uomo lanciato da oltre l’universo. Un’esperienza immersiva che rende il visitatore partecipe del suo universo ossessivo, invitandolo a scomparire nel vibrante gioco di luci colorate, che si moltiplicano sulle pareti speculari della stanza, rendendola infinita.

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