«Sono una cittadina prestata alla politica, una portavoce». Gemma Guerrini (m5s), prima firmataria della mozione che in queste settimane ha scatenato molte reazioni per il rischio chiusura della Casa internazionale delle Donne di Roma, appare molto chiara e determinata. «Questa storia mi ha sconvolta, quando ho preso le carte e ho potuto vedere la situazione pregressa non credevo ai miei occhi – prosegue la Presidente della Commissione delle Elette al Comune di Roma -. Come amministratrice sono tenuta a rispettare le regole e i patti».

Il merito di questa vicenda è politico. Perché vuole porre fine all’esperienza della Casa fin qui maturata?

Si sta parlando di un’esperienza complessa e articolata che ha visto il concorso di tante forze cittadine operanti in un contesto singolare e che ha prodotto a livello nazionale una risonanza importante. Ciò però si discosta dai patti iniziali. Noi vogliamo salvare ciò che si può ancora salvare, a fronte della incuria e del mancato sostegno delle vecchie amministrazioni che invece non hanno risolto niente.

Nel marzo del 2017 lei ha incontrato il direttivo della Casa durante una seduta della Commissione delle elette. In quell’occasione si era resa disponibile a una interlocuzione che però non ha avuto seguito, né per mail né per telefono. Perché?

Ho avuto un incontro preliminare con il Consorzio in cui mi hanno spiegato la situazione. Formalizzato in commissione, il Consorzio ha esposto i fatti in merito anche a una delibera preparata durante la giunta Marino poi impedita. Ho letto dunque la proposta, da dove provenisse, su quali basi fosse fondata. Da quel momento è cominciato un percorso; risalire a tutta la documentazione non è stato semplice vista la condizione in cui versa la conservazione capitolina.

Durante la seduta consiliare dei giorni scorsi, non è stata concessa la parola alle donne…

Quando le donne del Consorzio arrivano urlando e non mi consentono di notificare all’aula la relazione, cioè la fotografia della situazione esistente, è un fatto gravissimo. Il presidente De Vito ha dovuto interrompere la seduta, quando mi sono avvicinata a loro alla fine non mi hanno voluta ascoltare . Nell’esercizio pubblico delle mie funzioni quello che stavo svolgendo era un atto dovuto da delibere scritte decenni fa che nessuno ha abrogato, tuttora vigenti.

La mozione è apparsa una decisione unilaterale…

La mozione è stata molto meditata insieme a tutto il m5s. Con il concorso delle assessore e della sindaca. Questo è stato ribadito la sera dell’incontro e questo si farà. Terremo conto della legge. In base a tutto quello che è successo nel passato e dinanzi a ciò che dobbiamo dirimere c’è scritto che bisogna rilanciare il progetto e non che la Casa vada chiusa. Non vogliamo sfrattare nessuno. Vogliamo riallineare.

E se le viene risposto che non lo si vuole riallineare lei è disposta a un confronto?

Sono sempre disposta a un confronto. Sono qui per spiegare. Ma è un tipo di politica che ha fatto il proprio tempo, loro sono forti per le 75mila firme, perché portano le persone in piazza? Se si continua però di questo passo non si va da nessuna parte. Io questa voce non ce l’ho.

Esprimono un dissenso politico. E lei invece è in un posto di potere…

Io non gestisco il potere, no. Mi assumo tutte le responsabilità di quello che faccio. Oneri e onori di rappresentare l’amministrazione. E faccio ciò che il ruolo mi impone.

Nel testo della sua relazione manca tutta la parte finale della situazione, e cioè i mesi di quel tavolo tecnico tra direttivo e Comune poi interrottosi a gennaio…

Se avessi incontrato il Consorzio prima di avere chiara la situazione non avrei potuto dare risposte. Nel frattempo alcune assessore si sono rese disponibili alla interlocuzione che è sembrata la soluzione migliore. Vorremmo avviare un processo virtuoso teso al coinvolgimento del direttivo magari come capofila però per la partecipazione al bando. Quindi niente chiusura ma avvio di un circuito virtuoso.

Proporre bandi di gara su esperienze di così lungo corso non è la stessa cosa che proporli a realtà appena nate. Nel primo caso è come dire che da protagoniste si deve passare a un ruolo ancillare, cassando il pregresso…

Non è così. Loro dovrebbero aprirsi alla collaborazione con progetti.

Di chi sta parlando?

Anche delle donne del Consorzio. Insieme ad altre associazioni esperte.

Nella memoria presentata dal direttivo si fa infatti riferimento a progetti di collaborazione con Roma Capitale e Roma Facile. Poi però il tavolo tecnico si è interrotto…

Se il percorso ha richiesto dei tempi lunghi ciò non toglie che il lavoro sia stato fatto, e si stia portando ancora avanti, seriamente. Le assessore hanno fatto un lavoro di rafforzamento e sono l’organo operativo, io sono solo una portavoce. Il Consorzio sostiene di vantare dei crediti ma è tutto sul tavolo dell’assessorato al patrimonio che verificherà.

Avete una maggioranza che vanta molte donne anche giovani, sono lì anche per quello che non assumono, cioè il femminismo e il suo guadagno di libertà. Non le dispiace essere ricordata come una burocrate che ha messo fine a un pezzo di storia importante del paese?

Qualcuna l’altro giorno mi ha urlato Dove stavi tu negli anni Settanta? Ebbene vorrei rispondere. Io stavo all’estero come emigrata per lavorare, come tutte le donne della mia famiglia che hanno sempre lavorato perché gli uomini non guadagnavano abbastanza. Non è che certe cose sono nate a Palazzo Nardini, certe cose stanno nel dna. Certo che lì si è concentrato un nucleo di donne che ha fatto capire alla totalità della popolazione certi temi sono la prima a riconoscerlo.

C’è un problema generale dei luoghi della cultura…

È un nodo che va affrontato. Pensiamo solo alla delibera Tronca; il caso dell’Angelo Mai lo ha dimostrato: gli uffici vanno avanti così come i dipartimenti. Però la pratica burocratica non è asfittica e non è solo un orpello. Se c’è un nodo va sciolto ma non può essere aggirato.