Il Guerrero brucia. Centinaia di studenti e insegnanti hanno attaccato la sede del governo nella capitale dello stato messicano, Chilpancingo, e l’hanno data alle fiamme. Cinque giovani e due poliziotti sono rimasti feriti.

I manifestanti hanno reagito all’attacco di 150 poliziotti antisommossa e, dopo mezz’ora di scontri, sono riusciti a penetrare negli edifici.
Con loro c’erano i famigliari dei 43 studenti della Escuela Normal Rural Raul Isidro Burgos, di Ayotzinapa, scomparsi dal 26 settembre.
Allora, un gruppo di «normalistas» (così vengono chiamati gli iscritti a questi istituti), che protestava nella località di Iguala, nel Guerrero, è rimasto vittima di una violenta repressione: che ha provocato sei morti, uno dei quali con evidenti segni di tortura, 17 feriti e 58 scomparsi.

In seguito, 14 ragazzi sono stati ritrovati, alcuni erano fuggiti per la paura, uno di loro era morto. Dopo forti proteste, 282 funzionari della polizia di Iguala sono stati fermati e 22 arrestati con l’accusa di omicidio.
Fin da subito, i manifestanti hanno denunciato l’azione congiunta di polizia e paramilitari legati al narcotraffico, in questo caso alla banda dei Guerreros Unidos. Le testimonianze di alcuni arrestati hanno confermato la loro versione: la polizia ha consegnato ai narcos un gruppo di studenti arrestati perché venissero uccisi e bruciati.
I loro corpi non sono stati trovati, ma si sospetta facciano parte di quelli carbonizzati, scoperti in diverse fosse comuni della zona (nove in tutto).
Come altre volte in passato, i narcos scaricati si sono vendicati dei loro padrini politici ed è caduta qualche testa. L’ex sindaco di Iguala è ricercato e così sua moglie, sorella di uno dei capi dei Guerreros Unidos.

Traballa anche il potente governatore dello stato, Angel Aguirre Rivero, messo fortemente in causa dai manifestanti anche a Chilpancingo.
Una vicenda che sta facendo tremare le alte sfere di governo evidenziando la trama di un crimine di stato. E’ la crisi più grave affrontata finora dal governo di Enrique Peña Nieto.
Un’ondata di proteste sta scuotendo il Messico contro le sue politiche neoliberiste e il perverso intreccio in cui prosperano. In solidarietà agli studenti e alle loro famiglie si sono svolte manifestazioni in diversi paesi.

L’Organizzazione degli stati americani (Osa), le Nazioni unite e diversi parlamentari europei hanno chiesto che venga fatta al più presto chiarezza.
«È la sconfitta dello stato di diritto», ha dichiarato il segretario della Commissione interamericana per i diritti umani, Emilio Alvarez Icaza. Il funzionario sta indagando anche sui fatti accaduti nel municipio di Tlayaya, dove 22 civili morirono in uno scontro con l’esercito, otto dei quali vennero uccisi a sangue freddo da tre soldati benché si fossero arresi.

E un’indagine è stata aperta su quanto accaduto domenica scorsa: la polizia ha nuovamente sparato su un autobus su cui viaggiavano studenti di diverse nazionalità, e ha ferito un ragazzo tedesco.
Una ventina di poliziotti si trova in carcere. Intanto, è scomparso un altro giornalista, Jesus Antonio Gamboa Urias, direttore della rivista politica Nueva Prensa. Messico, Colombia, Honduras e Guatemala sono i paesi più pericolosi per i giornalisti e gli attivisti.

Il 26 settembre, gli studenti «normalistas» stavano raccogliendo fondi per la marcia del 2 ottobre in ricordo della strage di Tlatelolco (1968) quando vennero massacrati centinaia di giovani manifestanti.
I loro 13 istituti, a cui accedono ragazzi delle classi popolari, hanno una lunga tradizione di lotta e sono in prima fila nella battaglia per la scuola pubblica e contro le privatizzazioni.
Temi che non godono di buona stampa sui grandi media di casa nostra, ben più interessati alle proteste dei ricchi guarimberos di Caracas nel febbraio scorso.