C’ è ancora qualcuno convinto che nel mondo dei libri regnino pace e concordia? Ecco due storie istruttive che dimostrano come l’editoria possa essere un terreno di tradimenti e di scontri, forse non sanguinosi, ma feroci.
Il primo caso ha come protagonista, non si sa quanto volontaria, Louise Glück, la poetessa statunitense appena insignita del Nobel – il premio che più di tutti può da un giorno all’altro trasformare un autore sconosciuto (o meglio, conosciuto solo da una cerchia ristretta di lettori) in un potenziale bestsellerista.

In Spagna fin dal 2006 Glück ha avuto la fortuna di poter contare su una casa editrice indipendente di media dimensione, nota e stimata, la valenciana Pre-Textos – 46 anni di esperienza alle spalle e un raffinatissimo catalogo dove la poesia occupa uno spazio centrale – che ha pubblicato ben sette delle sue undici raccolte. Un caso di attenzione e di fedeltà basato sulla stima e non su un ritorno economico che finora è mancato. Già, finora.
Quella che poteva essere una storia a lieto fine, con l’editore buono finalmente premiato per i suoi sforzi, è infatti diventata una brutta vicenda di cui stanno parlando tutti i media di lingua spagnola per un colpo di scena, imprevisto come tutti i colpi di scena. O forse non imprevisto, se si tiene conto che l’agente letterario di Louise Glück è Andrew Wylie, meglio noto come «lo squalo» o in alternativa «lo sciacallo», che senza neanche avvertire Pre-Textos, ha – diciamo così – rimesso sul mercato ispanofono le opere di Glück in cerca di un migliore offerente.

Un «abbandono d’autore», lo ha definito sul periodico argentino Perfil Omar Genovese, sollecitando il commento di Manuel Borras Allana, l’editore tradito: «Presto, temo, di Louise Glück ci si ricorderà poco, non più di quanto si facesse prima… ma spero di sbagliarmi e le auguro comunque buona fortuna. Quanto a noi, continueremo con orgoglio a pubblicare ciò che consideriamo il meglio della letteratura». Una previsione, quella di Borras Allana, che si può leggere come la reazione di una persona giustamente indispettita, ma che si basa invece su numerosi precedenti editoriali, uno fra tutti il caso di Tomas Tranströmer, grande poeta svedese scomparso nel 2015, meteora editoriale nel 2011 in seguito al Nobel e oggi tornato nella sua nicchia frequentata da pochi intimi.

E veniamo al secondo esempio di conflitto editoriale. Qui, per la verità, non è ancora successo niente, ma la posta in gioco è così alta che gli eserciti si stanno armando: al centro c’è infatti il libro di memorie che Donald Trump scriverà o potrebbe scrivere alla fine del suo mandato, quando finalmente – con le buone, si spera – uscirà dalla Casa Bianca.
Giusto per dare un’idea delle misure, sulla Page Six del New York Post Ian Mohr sostiene che «secondo persone vicine al presidente, Trump è bombardato da offerte fino a 100 milioni di dollari». La cifra è chiaramente sovrastimata, ribatte su The New Republic Alex Shephard, se si considera che Barack e Michelle Obama in combinata hanno ricevuto 65 milioni di dollari e che Becoming, l’autobiografia della ex first lady, è poi diventato il maggior best-seller degli ultimi anni. Ma che i soldi in ballo siano tanti, è indubbio. Il problema, però, è un altro: la pubblicazione di un libro sicuramente «divisivo» come quello di Trump porterebbe come minimo con sé proteste e boicottaggi da parte di moltissimi autori e librai. E dunque, per citare Shephard, «la questione che si pone agli editori è semplice: vale la pena pubblicare il libro mediocre di un uomo che sta facendo di tutto per sovvertire la democrazia americana?». Qualcuno probabilmente risponderà di sì, e sarà guerra.