Almeno questa volta la guerra sui cieli è solo commerciale. Resta comunque dura e senza esclusione di colpi. Come quello portato dai tedeschi di Lufthansa, in risposta all’annuncio congiunto Alitalia-Etihad che ha ufficializzato nei prossimi trenta giorni la fase finale della “due diligence”, per l’ingresso al 49% della compagnia degli Emirati arabi uniti in quella di bandiera italiana. “Noi facciamo appello alla Commissione Ue – ha replicato Lufthansa – perché siano impedite tali tattiche di aggiramento”.

Sottintese ci sono le regole della concorrenza, che ancora non disturbava troppo quando Etihad si espandeva mettendo la sua bandierina su Air Serbia con il solito 49%, e sulla svizzera Darwin Airline (futura Etihad Regional) con il 33%. Il possibile accordo con Alitalia invece preoccupa: ancorché disastrata da decenni di gestioni nefande (se non criminali) da parte della classe dirigente italiana – sia pubblica che privata – la compagnia della Magliana ha ancora un suo peso specifico. Non tanto per la flotta aerea (160 aviogetti), quanto sul fronte logistico. Fiumicino, e i suoi potenziali voli verso le principali destinazioni del pianeta.

Lo scontro aperto da Lufthansa si gioca sull’ormai consueto crinale degli aiuti di Stato. Con un ecumenismo di maniera, la compagnia tedesca la prende larga: “Chiediamo ai politici che governano di impegnarsi a livello globale per condizioni di lavoro eque”. Poi però punta dritta al bersaglio: “Rifiutiamo il ricorso a sovvenzioni e la parziale statalizzazione di compagnie aeree europee. Questo indipendentemente dal fatto che arrivino da stati europei, o da stati o compagnie statali che si trovano al di fuori dell’Ue”. Anche se non è nominato, l’affaire Alitalia-Etihad appare in controluce come la filigrana delle banconote.

A riprova arriva l’immediata reazione del governo italiano. Che pure, in teoria, dovrebbe guardare solo ai problemi dell’occupazione, dopo il numero monstre di 10mila esuberi datati appena sei anni fa e, parole di Raffaele Bonanni, “non ancora sbolognati”. Invece il ministro Lupi, per parare il colpo, osserva subito: “La trattativa è fra privati”. Poi parte all’attacco: “Aggiramento mascherato delle regole della concorrenza? Sembra Lufthansa quella che teme la concorrenza”.

Da Bruxelles, anche la pedina italiana nella Commissione Ue fa sentire la sua voce. Antonio Tajani, va da sé, difende il progetto Alitalia-Etihad: “Sembra che non comporti la violazione del diritto comunitario. Al momento non la vedo”. A seguire, naturalmente, il vicepresidente della Commissione puntualizza: “L’importante è che questa trattativa avvenga nel quadro delle regole europee, e che ci sia rispetto dei prezzi di mercato”. Lupi traccia il solco, Tajani lo difende.

Anche Lufthansa, del resto, non ha intenzione di mettere in discussione i sacri dogmi del cosiddetto libero mercato. “Noi facciamo i nostri compiti attraverso dolorose misure di riduzione dei costi”. Ancora: “Siamo convinti che l’Europa, con il processo di privatizzazione in corso del settore, sia sulla strada giusta”. Un processo che, al di là della contestata, strisciante strategia della ricchissima Etihad, si gioca su un “mercato” continentale da far west. Dove le compagnie low cost, agevolate dai singoli scali, hanno messo in crisi nera le storiche compagnie di bandiera. Con effetti scaricati soprattutto sui lavoratori. Che sono sempre troppi, e costano sempre troppo.

Su questo versante, i precedenti di Etihad non sono tranquillizzanti. Tanto da non far apparire peregrina l’ipotesi che le ultime novità su Alitalia, compreso lo strano e abortito tentativo dell’ad Del Torchio di cambiare le carte in tavola – con gli improvvisi 400 esuberi strutturali – rispetto a un piano industriale che prevede comunque in partenza pesantissimi sacrifici (128 milioni di tagli sui costi del personale) per i 14mila addetti attuali della compagnia, facciano parte di una partita di scacchi. Per far digerire la nuova ondata di ammortizzatori sociali. Del Torchio, che ha ottenuto dalle banche 165 milioni (altri 35 in stand-by) per tenere Alitalia in linea di galleggiamento, non per caso avverte: “Penso che il senso di realismo avrà il sopravvento”. Intanto rinviava ad oggi il primo incontro con Filt Cgil, Usb & c. per discutere il piano. Mentre sui 10mila lavoratori mandati a casa nel 2008 arrivava l’ennesimo epitaffio. Sono “esuberi strutturali”. Casomai qualcuno ancora si illudesse.