Prosegue il caos sul petrolio libico. L’Ente di stato petrolifero di Tripoli (Noc) ha decretato ieri ufficialmente lo «stato di forza maggiore» nei principali terminal petroliferi del paese, bloccati dalla fine di luglio da persone armate e addetti alla sicurezza in rivolta per paghe più pesanti, gruppi comunque accusati dal governo di voler vendere il greggio in proprio e fuori dai contratti nazionali. Lo stato di forza maggiore decretato ieri esonera l’azienda libica da ogni responsabilità in caso di mancato rispetto dei patti.
È almeno da ferragosto però che il primo ministro Zeidan lotta per il controllo dei più importanti terminali petroliferi del paese, quasi tutti dislocati ad Est: Zueitina, Ras Lanuf, al-Sedra e Brega.

Secondo la Reuters, la produzione di petrolio in Libia è ai minimi dai tempi della guerra civile contro Gheddafi: 500mila barili al giorno contro gli 1,6 milioni disponibili. In appena tre settimane la Libia ha perso quasi 2 miliardi di dollari per il mancato export di petrolio. Il governo ha dunque avvertito che userà «ogni mezzo necessario», incluso quello militare, non solo per riguadagnare il controllo dei giacimenti e dei terminali ma anche contro eventuali petroliere in arrivo non autorizzate da Tripoli. Il timore di uno spargimento di sangue è nell’aria, tanto che il ministero del petrolio ha avvertito i partner internazionali sulla difficoltà di rispettare i tempi di consegna stabiliti a partire dal prossimo mese di settembre.