Quasi quasi ci si è dimenticati che oggi le elezioni legislative rinnoveranno i 100 senatori e 168 deputati del Congresso colombiano. Il fatto è che tutti i giorni arriva un nuovo scandalo a tenere il paese con il fiato sospeso. Il 3 febbraio, il settimanale Semana rivela che i servizi segreti militari spiano l’equipe governativa che, all’Avana, negozia con la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc). Qualche giorno dopo, la lista delle persone oggetto di intercettazioni illegali si allunga: ne fanno parte trentotto giornalisti, nazionali e stranieri, che seguono i negoziati. Il 15 febbraio, dirigenti del Partito liberale (Pl) e del Polo democratico alternativo (Pda, centrosinistra) denunciano a loro volta di essere stati messi sotto sorveglianza elettronica. Il 22 febbraio, lo stupore assoluto: sono intercettate le stesse email del presidente Juan Manuel Santos.

La «solita» corruzione

La scoperta di fatti di corruzione all’interno delle Forze armate dà il tocco finale a questo volo degli stracci: il capo dello Stato revoca dagli incarichi il comandante in capo, generale Leonardo Barrero Gordillo, il suo vice Manuel Guzmán e il capo dell’aviazione, generale Fabricio Cabrera. «Erano al corrente delle irregolarità e non hanno fatto nulla», ha commentato con discrezione Santos. Ma, a parte le questioni di corruzione, cova sotto la cenere la crisi fra il potere esecutivo e certe fazioni militari che da quando sono iniziati i negoziati con l’odiata guerriglia hanno l’ulcera.

La principale posta in gioco nello scrutinio di oggi è anch’essa legata alla fine eventuale del conflitto armato. Se i negoziati avranno successo, il futuro Congresso dovrà dare seguito alle misure decise nel quadro di un accordo di pace. Dunque, il «processo democratico» che si annuncia ha poco a che vedere con un beato pacifismo.
«Per il colombiano della strada, ci confida un abitante di Bogotá, il Congresso ha perso tutto il suo prestigio e il discorso si può riassumere così: “tutti marci”». Come dargli torto: dal 1995, e con un’incredibile accelerazione a partire dal 2005, 140 dei suoi membri (deputati e senatori) sono stati coinvolti nello scandalo definito della «parapolitica», per la loro collaborazione con le milizie paramilitari di estrema destra. 62 sono stati condannati e imprigionati, 47 sono attualmente sotto processo. Si aggiungano otto presidenti del Congresso, quattro dei quali sono già stati anch’essi condannati.

Il significato della parola «democrazia»

Per molti, soprattutto a sinistra, il termine «democrazia» ha perso tutto il suo significato da quando, negli anni ‘80, una campagna di sterminio eliminò dalla vita politica – 4mila morti – l’Unione patriottica (Up), il partito che rappresentava la speranza. Si potrebbe obiettare che da allora molta acqua e molto sangue sono passati sotto i ponti. Ma la libertà di scelta, che i più danno per scontata, non è moneta corrente in questo paese. E votare non serve a granché. Il 10 dicembre 2013 Gustavo Petro, sindaco (del Pda) di Bogotá – la carica considerata più importante dopo la presidenza della Repubblica – è stato destituito e interdetto dai pubblici uffici per 15 anni, dal procuratore generale Alejandro Ordoñez.

Il suo delitto? Aver violato i «principi costituzionali della libera impresa e della concorrenza, e messo in pericolo l’ambiente e la salute degli abitanti di Bogotá». Aveva tolto il sistema di raccolta dei rifiuti a tre imprese private per farne un servizio pubblico. Certo mal organizzata, la transizione fra i primi e il secondo si è tradotta, nella capitale, in tre giorni di (relativo) caos ma, ritiene il membro del Congresso Iván Cepeda, animatore delle correnti «progressiste» all’interno del Pda, «sono convinto che il procuratore abbia un piano per danneggiare seriamente la sinistra e i suoi dirigenti. Vero che sono state sanzionate anche figure politiche della destra, ma erano state prima condannate da un giudice. Nel caso dei funzionari e degli eletti di sinistra, non c’è stato alcun precedente pronunciamento giudiziale, ma una decisione disciplinare che, senza limitarsi a sanzionare, decreta una sorta di morte politica, privando le persone di ogni possibilità di esercitare funzioni pubbliche in futuro».

Cattolico integralista, vicino all’ex presidente Alvaro Uribe e come quest’ultimo contrario ai negoziati di pace, il 27 settembre 2010, Ordoñez aveva già destituito e «inabilitato» a qualunque funzione politica, per 18 anni, un’altra figura progressista di primo piano, la senatrice Piedad Córdoba. La battaglia legale portata avanti da Gustavo Petro, che parla di «colpo di Stato» municipale e rifiuta di accettare l’estromissione, continua; ma pochi si mostrano ottimisti sul suo risultato.

La nascita di un movimento pacifico

Dal 2012 il paese è animato da incessanti mobilitazioni popolari – animate in particolare da contadini e indigeni. Alla sinistra della sinistra, per iniziativa di circa 1.700 organizzazioni sociali e politiche all’insegna della parola d’ordine «la pace con giustizia sociale», è nato un movimento pacifico, la Marcia patriottica (Mp) – «la marcha». Il 4 gennaio, il responsabile della sua Commissione relazioni internazionali, Francisco Tolosa, docente universitario e apprezzato analista politico, è stato arrestato con l’accusa di «ribellione aggravata». Il 25 agosto 2013, Huber Ballesteros, membro del comitato esecutivo della Centrale unitaria dei lavoratori (Cut) e coordinatore nazionale della «marcha» era stato detenuto per gli stessi motivi. Dalla nascita del Mp nel 2012, già trenta suoi membri sono stati assassinati. Democrazia?

Nelle grandi città, sembra riuscire a farsi avanti una certa forma di opposizione – e lo aveva testimoniato, fra l’altro, l’elezione di Petro a Bogotá – non è lo stesso nelle campagne, municipi e dipartimenti, che conoscono una realtà di narcotraffico, corruzione clientelare e conflitto armato. Secondo un rapporto pubblicato il 27 febbraio dalla Fondazione pace e riconciliazione, cento trentuno degli attuali candidati al Congresso avrebbero legami con gruppi criminali – essenzialmente contrabbandieri, trafficanti e paramilitari. Secondo l’analista León Valencia, «fra le loro mani passa molto denaro, frutto di attività illegali, ed essi hanno un’enorme influenza in certe zone del paese». In questo contesto, tutta l’attenzione sarà puntata sul risultato dei sostenitori dell’ex presidente Uribe, raggruppati in un nuovissimo Centro democratico (Cd), creato da lui e per lui.

Accanito nemico dei negoziati di pace avviati dal suo successore, Uribe ha rinunciato ai 500mila dollari che guadagnava ogni anno come consulente internazionale della prima banca statunitense, la JpMorgan Chase, e membro del consiglio di amministrazione di News Corp (la multinazionale dei media di Rubert Murdoch) per tornare nell’agone politico – che in realtà non ha mai abbandonato. Candidato al Senato, ha in realtà come principale e forse unico obiettivo quello di mettere in difficoltà Santos in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 25 maggio.

Amici e nemici

Di solito i comportamenti dei colombiani obbediscono a logiche diverse a seconda del tipo di scrutinio. Se non è improbabile un secondo mandato presidenziale per Santos questo primo appuntamento elettorale si rivela pericoloso. Il suo principale appoggio, il Partito della U, era stato creato nel 2005 per sostenere Uribe, nella campagna per il secondo mandato. Benché maggioritario nell’attuale Congresso, il partito è alla deriva e diviso.

Una perdita della maggioranza parlamentare potrebbe portare a una sospensione dei negoziati di pace.
In questa prospettiva, i risultati dei due partiti tradizionali – liberale (Pl) e conservatore (Pc) – possono far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Benché relativamente «fuori classifica» dall’inizio degli anni 2000, i due partiti e soprattutto il Pl, che può contare su una struttura politica presente in tutto il paese, saranno probabilmente aiutati dai media – quantomeno per impedire un’avanzata della sinistra.

Le fazioni della sinistra

La sinistra si presenta all’appuntamento elettorale divisa in tre o quattro fazioni. Indipendentemente dalla figura di Gustavo Petro, che fa parte dell’ala progressista (come Yván Cepeda), il Polo democratico alternativo ha deluso molto. Disdegnando i movimenti popolari, toccato da oscuri fatti di corruzione, molto silenzioso sul processo di pace, può sperare di far eleggere qualche senatore nelle grandi città, ma è anch’esso minacciato di estinzione. Alcuni suoi leader grazie alla loro notorietà possono arrivare al Congresso, ma il partito non ha la capacità di presentare candidati su tutto il territorio nazionale. Sulla base del sistema elettorale proporzionale, i partiti che, pur riportando eletti, otterranno meno del 3% nell’insieme del voto nazionale, si vedranno ritirare la personalità giuridica.

Più a sinistra, e per sfuggire a questo pericolo di eliminazione, diverse piccole formazioni hanno firmato un accordo politico e si sono riunite nell’Alleanza verde, con un programma che rivendica l’appoggio al processo di pace e l’inclusione sociale. L’Alleanza è la più variegata e pluralista del panorama elettorale: comprende l’Unione patriottica (resuscitata dopo il massacro subito negli anni ’80), che esprime in testa di lista il direttore del quotidiano comunista Voz, Carlos Lozano; Progressisti (l’ala di sinistra del Pda), guidati dalla figura storica di Antonio Navarro Wolf, ex guerrigliero del M-19; Podemos Colombia, dell’ex sindaco Pda di Cali, Jorge Yván Ospina; il movimento nazionale delle vittime; organizzazioni contadine e multietniche; comunità Lgbt (lesbiche, gay, trans-genere).

Gli indignati colombiani

Attraverso le «reti sociali», e su iniziativa dello scrittore Gustavo Bolivar, è nato un gruppo di «indignati» battezzato «La Colombia si astiene». La Corte costituzionale in effetti ha riconosciuto questo tipo di voto come una «espressione valida di dissenso attraverso cui si esprime la libertà dell’elettore» e ha chiesto che il conteggio delle astensioni «abbia un’incidenza decisiva sul processo elettorale» – nel senso che, se queste hanno la maggioranza assoluta, occorrerà rivotare nuovi candidati. «Molti dei miei studenti, si inquieta un docente universitario di Bogotá, appoggiano l’astensione perché credono che, così, i corrotti non saranno eletti. Non si rendono conto che quelli hanno già messo in moto tutto il necessario per assicurarsi un seggio.

I più colpiti apparterranno ai partiti non tradizionali, quelli degli indignati e dei cittadini e militanti che da sempre si battono per il cambiamento». Sulla base delle loro precedenti mobilitazioni, le principali organizzazioni contadine hanno convocato un Vertice agrario e popolare, dal 21 al 23 marzo a Bogotá. Un messaggio chiarissimo: qualunque sia la futura composizione del Congresso, questo dovrà fare i conti con un movimento sociale che ha tutta l’intenzione di pesare sugli avvenimenti.