Con una mossa inaspettata e che ha confuso i militanti accorsi al 7° Congresso di Bata, il Partito democratico della Guinea Equatoriale (Pdge) non ha indicato il proprio candidato per le elezioni presidenziali del 2023. Si tratta di una decisione che, in realtà, conferma le voci che descrivono una feroce lotta per la successione, interna al partito e alla famiglia Obiang, che ancora non si è conclusa.

TEODORO OBIANG Nguema Mbasogo ha 79 anni, nel 2023 ne avrà 81, e dal 3 agosto 1979, 42 anni, governa la Guinea Equatoriale con il pugno di ferro, il che fa di lui il leader non-monarca più longevo attualmente al potere, il più longevo di sempre in Africa e il sesto in assoluto nel mondo. Da anni si rincorrono voci su un tumore alla prostata che lo affligge, la leggenda, e su una sanguinosa guerra per la successione interna alla famiglia Obiang, la realtà, tra i due figli Teodorin e Gabriel, vicepresidente e ministro della Difesa il primo, ministro del Petrolio il secondo.

IL FAVORITO, DA SEMPRE, è Teodorin Nguema, 53 anni, la cui attesa per salire al potere sembra però non finire mai. Da settembre, forse per recuperare terreno, è inusualmente presente nella vita pubblica del Paese: ha fatto le veci del padre in alcuni incontri di alto livello, ha passato più volte in rassegna le truppe come ministro e ha incontrato decine di delegazioni di varie associazioni che compongono il nocciolo duro del consenso del Pdge, accantonando un po’ la sua passione per il lusso che gli è permesso in un sistema di corruzione e reati fiscali.

Tuttavia, nella dichiarazione finale del Congresso, il suo nome viene fatto solo per esprimergli la solidarietà di tutti i congressisti e i militanti: Nguema da luglio a oggi è stato dichiarato «persona non grata» nel Regno Unito, dove gli sono stati congelati tutti i beni, ed è stato condannatocontumace in Francia per appropriazione indebita, riciclaggio e corruzione. Lui si difende urlando al complotto contro la sua persona e ovviamente il Pdge lo sostiene, anche perché l’alternativa potrebbe essere fare la fine di molti oppositori, rinchiusi in carcere a tempo indeterminato, torturati o uccisi.

Ma i guai giudiziari, e i suoi vizi, hanno oramai guastato la sua immagine internazionale e questo è un grave problema per un futuro capo di Stato. Un problema di cui ha provato ad approfittarsi il fratello Gabriel. L’apice dello scontro tra i due è stato un consiglio dei ministri a fine settembre, con Teodorin che ha urlato in faccia al fratello accusandolo della crisi economica nel Paese, il quale con la pandemia e il conseguente crollo dei prezzi del petrolio sui mercati ha potuto fare ben poco per tenere i conti in ordine.

IL CONGRESSO DEL PDGE in realtà un’indicazione l’ha data, nella sua mozione finale: il voler continuare a seguire la linea del presidente in carica Teodoro Obiang. Il quale tuttavia, se decidesse di ricandidarsi, arriverebbe a fine mandato all’età di 88 anni, di cui 51 passati al potere, più di chiunque altro prima di lui. E con la manifestazione di solidarietà a Nguema ne dà una seconda, di indicazione: il delfino, l’erede al trono, è sempre lui. Ma chi si aspettava l’ncoronazione ufficiale è rimasto deluso.

IL MANTENIMENTO dello status-quo in Guinea Equatoriale contribuirà sicuramente a mantenere la calma nella popolazione, la maggior parte della quale vive sotto la soglia di povertà, ma altrettanto sicuramente le sfide che il mondo intero sta affrontando oggi (su tutte la conversione energetica) metteranno a dura prova, nel futuro più prossimo, la tenuta del regime più corrotto al mondo. Le cui solide fondamenta, oggi, si trovano ancora nei pozzi al largo del Golfo di Guinea.

All’uscita del Congresso i delegati sono certi: il prossimo «candidato naturale» sarà ancora Teodoro Obiang, che ha vinto le elezioni nel 1989, 1996, 2002, 2009 e 2016 con percentuali sempre superiori all’85%. Ma l’elite al potere, dietro le quinte, continua la guerra.