Stato di allerta, in Venezuela, per un black out che ha lasciato al buio gran parte della capitale Caracas e altri importanti stati del paese. Per il governo socialista si è trattato di un sabotaggio per esasperare gli animi, a pochi giorni dalle elezioni comunali dell’8 dicembre: il guasto colpisce lo stesso punto che nel settembre scorso lasciò senza luce il 70% del territorio, comunica Corpoelec (l’impresa statale che regola il servizio). Poco prima, il presidente Nicolas Maduro era in tv per annunciare le nuove misure contro «la guerra economica» e per ricordare l’11° anniversario del micidiale sciopero petrolifero dell’opposizione che mise in ginocchio l’economia del paese. Ieri, nei quartieri di classe medio alta, si è levato un concerto di pentole a lume di candele, condito da insulti e minacce.

«Chiedo l’appoggio del popolo contro questo capitalismo vorace che non conosce limiti», ha detto Maduro. Dati alla mano, ha illustrato le misure economiche contro «la speculazione e l’usura» disposte per decreto dalla Ley habilitante. Poteri speciali, previsti dalla costituzione e approvati dall’Assemblea nazionale. Molti presidenti in Venezuela hanno fatto ricorso alla Ley habilitante. Hugo Chávez se n’è servito per accelerare il corso del «socialismo del XXI secolo». Il primo decreto riguarda il controllo dei prezzi e il rapporto tra libertà del mercato e diritti economico-sociali degli strati popolari, il secondo mira a regolare il settore dell’import-export e il riordino del flusso di divise che entra nel paese per via della rendita petrolifera. Da qualche settimana, Maduro ha sguinzagliato i ministri del suo «governo della strada»: a caccia di evasori e speculatori. Dopo la morte di Chávez (il 5 marzo), e la risicata vittoria di Maduro sul rappresentante della destra, Enrique Capriles (il 14 aprile), molti prodotti di consumo sono scomparsi dagli scaffali per ricomparire a costo maggiorato al mercato nero, il valore del bolivar al cambio illegale è salito vertiginosamente e i prezzi nei negozi sono schizzati alle stelle.

Il governo ha accusato grandi imprenditori e commercianti di aver scatenato una «guerra economica» per esasperare la popolazione. Ha inviato gli ispettori nelle grandi catene commerciali e ha mostrato i risultati: ricarichi stratosferici, evasioni sfacciate, piccoli commercianti munti all’eccesso dai proprietari di immobili. Molti esercizi sono stati obbligati a riadeguare i prezzi e sui muri è comparsa la scritta «multado». La gente si è precipitata ad acquistare ogni genere di prodotti ora più abbordabili, facendo code chilometriche, già frequenti in questo periodo pre-nalizio (la «navidad»). Per molti esercizi, l’adeguamento è stato però solo di facciata e, con i prezzi attuali, per vestire (modestamente) i propri figli una famiglia di basso reddito necessita di due salari minimi. Maduro ha fatto i conti in tasca ai commercianti e agli impresari: che «rubano i soldi dello stato rifornendosi di dollari sussidiati per importare prodotti dall’esterno e venderli poi a prezzi da capogiro». Ha abbassato i pezzi degli affitti degli esercizi commerciali come già aveva fatto per quelli degli immobili, alzando al contempo il salario minimo e le pensioni che su questi sono parametrati.

«Io non sono capitalista – ha detto ieri il presidente socialista – per me il capitalismo è la morte dell’essere umano – il mercato tuttavia ha costruito le sue regole nei paesi capitalisti, qui invece per far soldi non si rispettano neanche quelle». E così, un’automobile usata, «importata dagli Stati uniti, dove costa 25.000 dollari, in Venezuela la si trova a 1.200.000 bolivar». In un paese che possiede le più grandi riserve petrolifere al mondo, dove l’acqua costa molto più della benzina, la produzione interna non è sufficiente. E il presidente ha ora annunciato in questo campo un notevole abbassamento dei prezzi, e facilitazioni nell’importazione dall’estero di automobili o moto, anche a titolo privato. Questo – ha però precisato – non vuol dire che il nostro governo spinga all’eccesso l’uso dell’automobile «perché tiene al rispetto della natura come sancito nella costituzione».

Per illustrare i decreti, ministri di governo e presidente hanno convocato le associazioni dei commercianti e quelle dei piccoli e medi imprenditori, proponendo loro «un’alleanza per il lavoro». Al contempo, hanno però denunciato con durezza le «condizioni di schiavitù» in cui versavano gli operai di alcune fabbriche clandestine scoperte durante le ispezioni. I proprietari avevano ricevuto i dollari del governo per sviluppare la produzione, ma «rubavano sul costo del lavoro». Maduro ha poi mostrato un libro sul colpo di stato militare in Cile compiuto contro il governo socialista di Salvador Allende, l’11 setembre del 1973.

Il 2 dicembre di 11 anni fa – ha ricordato – la borghesia nazionale, diretta dal dipartimento di stato Usa ha organizzato uno sciopero economico e petrolifero dello stesso tenore: con l’intento di far cadere il governo Chávez, rimesso in sella a furor di popolo dopo il fallito golpe dell’11 aprile precedente, durato 46 ore. Il golpe aveva portato al potere Pedro Carmona Estanga, rappresentante di Fedecamaras (la Confindustria venezuelana) e dell’opposizione. Con lui, anche Carlos Fernandez, segretario generale della ormai corrotta Confederacion de trabajadores de Venezuela (Ctv), e alti dirigenti della società petrolifera nazionale (Pdvsa) come Juan Fernandez, fondatore del gruppo di opposizione Gente del petroleo. Oggi sono tutti all’estero.

Allora, organizzati nella Coordinadora democratica, rifiutarono le 49 leggi create all’interno di una Ley habilitante, concessa a Chávez dall’assemblea nazionale. Tra queste, una relativa agli idrocarburi, che elevava al 30% le tasse delle multinazionali nelle attività di estrazione petrolifera e stabiliva una partecipazione dello stato nelle società miste di almeno il 51%. Un’altra, imponeva forti restrizioni alla pesca a strascico e favoriva i piccoli pescatori. Un’altra ancora, consentiva di espropriare il latifondo in favore dei contadini senza terra. Troppo per l’oligarchia che, attraverso Fedecamaras, proclamò 24 ore di sciopero in tutte le imprese affiliate, subito appoggiata dalla Ctv e dai vertici di Pdvsa. La Coordinadora decise poi di estendere l’azione, puntando alle dimissioni di Chávez, forte dell’appoggio dei vertici di Pdvsa, che sabotarono la produzione e impedirono alle navi petrolifere di salpare.

Allora, la Pdvsa era diventata un comitato d’affari che aveva di fatto privatizzato dall’interno la petrolifera e difendeva gli interessi Usa. Il micidiale sciopero petrolifero mise in ginocchio l’economia, 13 persone persero la vita durante una rivolta militare in Piazza Altamira, grandi gruppi privati come Polar, che allora controllava 13 prodotti della canasta basica oltre alla birra e alle bibite, entrarono nel conflitto. Il governo non perdette però l’appoggio del popolo, che ancora conserva dopo 14 anni e 18 elezioni.

Ora, l’opposizione intende trasformare la 19ma in un plebiscito contro Maduro. Si burla dell’ex operaio del metro e del suo “effetto Robin Hood”, e ha già convocato i suoi in piazza per il 9 dicembre: forse per ripetere lo schema delle presidenziali, il cui risultato non ha mai riconosciuto. Il 14 aprile ha gridato alla frode e ha chiamato i suoi alla rivolta, causando morti e violenze postelettorali. Una settimana fa, la giornata di protesta indetta dalla Mesa de la unidad democratica (Mud) è però stata un flop. L’opposizione ha marciato e danzato coi colori nordamericani, ma senza le folle.

«La loro idea – ha detto Maduro – è quella di provocare crisi e disordine, sperando nell’intervento Usa. Non sanno che gli Stati uniti non riconoscono amici, ma solo interessi». Poi, il black out.