Inquietando una nazione intera, e ricevendo in risposta una valanga di lettere contenenti accuse e confutazioni storiche, etiche ed estetiche, Winfried Georg Sebald tenne nel 1997, a Zurigo (in campo neutro, per così dire), una serie di conferenze che più tardi avrebbe rielaborato in un libro tanto breve quanto immane nelle sue proporzioni ideali, a proposito di uno degli argomenti a suo dire maggiormente inesplorati dalla cultura tedesca nel secondo dopoguerra. Il titolo era eloquente: «Guerra aerea e letteratura».
Sebald indagava lo iato tra quella che definiva l’«umiliazione taciuta» subita dalla popolazione tedesca, bombardata senza pietà dagli Alleati fino alla quasi totale devastazione di centinaia di città della Germania, e la sorprendente «cecità storica» che sembra coinvolgere tutti i tedeschi, dalla popolazione agli studiosi, dai testimoni agli scrittori. A ciascuno di questi attori «muti» Sebald dedicava uno spazio nelle sue conferenze, interrogando il loro silenzio.

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NE SCATURÌ alcuni anni più tardi Storia naturale della distruzione (in Italia uscito da Adelphi nel 2004, dopo la morte dell’autore, nella traduzione di Ada Vigliani, pp.149, € 16,00), che completava le conferenze con una introduzione e un saggio conclusivo immediatamente riconoscibile come un racconto di Sebald: un ritratto biografico-letterario dello scrittore Alfred Andersch, soldato nella Wehrmacht e poi ambizioso romanziere di mezza tacca.
Venticinque anni dopo, il discorso di Sebald si ripropone drammaticamente all’attenzione del lettore europeo, e il suo contenuto ha ispirato uno dei maggiori cineasti ucraini per il suo nuovo film: si intitolerà infatti Storia naturale della distruzione il documentario che Sergej Loznitsa presenterà a Cannes nella sezione «Special Screenings», tra i titoli più attesi fuori concorso. Loznitsa è stato protagonista nei mesi scorsi – unico regista ucraino ad assumere un atteggiamento simile – di una furente polemica contro l’Accademia europea del cinema (che assegna gli European Film Awards), secondo lui troppo morbida nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina. In una lettera aperta, annunciando le proprie dimissioni dai ranghi dell’Accademia, Loznitsa invitava l’organizzazione a condannare più esplicitamente l’aggressione. L’Efa è diventata così la seconda accademia a poter annoverare Loznitsa tra i suoi ex appartenenti: la Società del cinema ucraino, infatti, lo aveva a sua volta espulso, per essersi opposto a un boicottaggio totale del cinema russo, dal regista giudicato inaccettabile.

LOZNITSA ha presentato molti dei suoi lavori al festival di Cannes. Nel 2010, il suo film My Joy è stato presentato in concorso per la Palma d’oro, così come Anime nella nebbia nel 2012, e Krotkaja (tratto da La mite di Dostoevskij) nel 2014 – quando anche il documentario Maidan, racconto delle proteste popolari a Kiev e della loro violenta repressione da parte del regime di Janukovi fu presentato in anteprima mondiale con una proiezione speciale sulla croisette – oltre a Donbass nel 2018, premiato per la miglior regia nella sezione «Un certain regard», e il documentario Babij Jar. Kontekst, l’anno scorso.
Storia naturale della distruzione è il secondo confronto tra il regista ucraino e lo scrittore tedesco. Nel 2016 infatti Loznitsa aveva proposto al pubblico il documentario Austerlitz, amara, provocatoria riflessione cinematografica sulla labilità della memoria, e sul progressivo scivolamento dell’Olocausto lontano dal ricordo vivo, in cammino piuttosto verso la trasformazione in una metafisica località turistica: Loznitsa riprendeva con camere nascoste l’indifferenza dei visitatori ai campi di sterminio, l’atteggiamento più o meno assimilabile a quello del turista in visita a qualunque altro monumento o luogo di villeggiatura. Lo spunto era l’omonimo romanzo di Sebald – unica sua opera di finzione e forse suo capolavoro – nel quale si ricostruisce la storia di Jacques Austerlitz, professore di storia dell’architettura a Londra, lirica incarnazione dell’uomo senza memoria, erudito eppure in bilico sull’orlo del proprio inconoscibile abisso: Austerlitz infatti non sa qual è la sua storia, o più probabilmente non ha mai voluto saperlo. L’uomo scoprirà, nel corso di una tragica inchiesta su se stesso, di essere arrivato a Londra durante la Seconda guerra mondiale, infante, con uno di quei treni stipati di bambini che dall’Europa centrale partivano per l’Inghilterra, mentre i genitori venivano deportati nei campi di sterminio.
Come per Austerlitz, anche Storia naturale rappresenterà un confronto «indiretto» tra testo letterario e realizzazione filmica: se il nucleo di entrambe le opere di Sebald sta nella cancellazione più o meno volontaria della memoria, lo scrittore tedesco è per Loznitsa un pre-testo, un punto di riferimento intellettuale dal quale prendere le mosse per una riflessione personale, che anche in questo caso sarà documentaria, e basata in larga parte su materiale prelevato dagli archivi di guerra.
Maestro di ibridazione letteraria, sempre sul filo tra racconto storico e finzione, tra lirismo e documentazione, illusionista indomito e archivista geniale, Sebald va imponendo in questi anni la propria figura come una delle più significative del nostro secolo, e la proliferazione di saggi biografici, libri, articoli accademici e film a lui dedicati o che lo coinvolgono più o meno in prima persona lo testimonia.

Il film rappresenterà un confronto «indiretto» tra testo letterario e realizzazione filmica

FORSE LOZNITSA suggerirà un riferimento, anche questa volta indiretto, ai fatti di Ucraina, attraverso il suo viaggio nella «storia della distruzione». A pagina 50 della prima edizione italiana di Storia naturale della distruzione, Sebald riporta un brano di Alexander Kluge, nel quale si descrive la signora Schrader, impiegata di un cinema, «che dopo la caduta della bomba si mette subito all’opera (…), nella speranza di riuscire a sgomberare le macerie per lo spettacolo delle due del pomeriggio». Ideale raccordo tra libro e film, è un’immagine che il regista ucraino avrà tenuto vicinissima al cuore, negli ultimi mesi.