Il caso dei verbali dell’avvocato Amara in cui si svelerebbe l’esistenza di una loggia segreta, chiamata “Ungheria”, in grado (anche) di condizionare le nomine del Csm, scivola in una guerra di date all’interno della procura di Milano, tra il vertice della procura di Milano e altre procure che indagano sulle stesse carte e tra consiglieri ed ex consiglieri del Csm. Tutti i protagonisti della storia, il procuratore capo di Milano Francesco Greco, il sostituto della stessa procura Paolo Storari e lo stesso ex del Csm Piercamillo Davigo, stanno lavorando a una memoria sui fatti, presto il Consiglio dovrà occuparsi formalmente di questa storia. Ma intanto giovedì c’è in agenda un appuntamento con il presidente della Repubblica e la ministra Cartabia, entrambi sono attesi a palazzo dei Marescialli per la proiezione di un docufilm sul giudice Livatino. Troveranno un’atmosfera tutt’altro che serena.

Ieri il vicepresidente del Csm David Ermini ha fatto diffondere una nota per ricordare che «il Consiglio opera soltanto sulla base di atti formali e secondo procedure codificate». Come a dire che le confidenze che Davigo racconta di aver fatto allo stesso Ermini non avevano la formalità di una ufficiale consegna di atti – i famosi verbali di Amara. La mossa di Ermini si è resa necessaria dopo che Storari, il pm che aveva raccolto i verbali di dieci interrogatori di Amara, ha spiegato di essersi rivolto a Davigo, all’epoca ancora consigliere del Csm (è andato in pensione a ottobre, pochi giorni prima che i verbali sarebbero arrivati – e per questo si sospetta la sua ex segretaria – al Fatto quotidiano) nella certezza che lui avrebbe investito del caso il comitato di presidenza del Csm.

Ma anche il procuratore generale della Cassazione Salvi, componente del comitato di presidenza del Csm, ha detto di non aver ricevuto alcuna formale trasmissione di atti, anche se Davigo – che ripete soltanto di aver informato «chi di dovere» – gli aveva parlato delle frizioni all’interno della procura di Milano.
Storari sostiene di aver scritto una decina di mail al procuratore Greco sollecitando l’apertura di un’indagine sulle rivelazioni di Amara e lamenta un’inerzia di sei mesi del procuratore, motivo per cui si è rivolto a Davigo. L’ultimo interrogatorio di Amara però è di gennaio 2020 e la confidenza a Davigo di aprile, l’eventuale inerzia andrebbe dunque ridimensionata. Anzi, secondo quanto ricostruito dagli uffici del procuratore con l’agenzia Ansa, il dissenso con Storari sarebbe stato solo sul numero dei potenziali indagati da iscrivere a registro. In ogni caso nel maggio 2020 l’inchiesta fu aperta e, dopo un colloquio tra Greco e il procuratore Cantone, trasferita a Perugia per competenza (sono coinvolti infatti magistrati romani).

Per quanto ancora sottotraccia (la prima fuga di notizie in favore del Fatto è di ottobre, la seconda a Repubblica di gennaio 2021) la vicenda era già sufficientemente velenosa, anche perché Amara era all’epoca indagato a Milano per il presunto depistaggio ai danni del processo Eni-Nigeria (finito con un tutti assolti) e parte dei verbali di Amara era già stata trovata in possesso di un suo coimputato.

La procura di Perugia ha precisato ieri di aver ricevuto le carta da Milano solo nel gennaio di quest’anno, quindi un anno dopo l’ultimo interrogatorio di Amara. Al lavoro c’è anche la procura di Roma che indaga sulla consegna delle carte ai quotidiani (che non hanno pubblicato nulla e anzi hanno denunciato) e quella di Brescia che deve far luce sul comportamento dei colleghi milanesi.