«Questa mattina l’Idf (le forze armate israeliane, ndr) ha liberato Gerusalemme. Abbiamo riunito la Gerusalemme divisa, la capitale di Israele che era stata divisa in due. Abbiamo fatto ritorno ai nostri luoghi più sacri e siamo tornati per non abbandonarli mai più». Parole che Moshe Dayan, celebre ministro della difesa israeliano, pronunciò il 10 giugno 1967 quando, assieme al capo di stato maggiore Yitzhak Rabin e al comandante della regione centrale Uzi Narkis, entrò nella città vecchia di Gerusalemme ponendo il sigillo sulla guerra-lampo, la Guerra dei Sei Giorni di 54 anni fa, che consentì a Israele di prendere il controllo di territori palestinesi e arabi che non ha mai restituito, ad eccezione del Sinai egiziano. In questi giorni in cui gli israeliani celebrano l’anniversario di quel conflitto vittorioso sugli eserciti arabi capita di trovare nei giornali le immagini del 1967 di soldati abbracciati in lacrime davanti al Muro del Pianto, con lo stupore stampato in volto per il «miracolo»: l’intera Gerusalemme era sotto il controllo Israele e con essa tutta la biblica Eretz Israel al termine di una guerra «voluta dai leader arabi» in cui lo Stato ebraico «si era solo difeso» lanciando un attacco preventivo contro i suoi nemici. Di «miracolo» si era parlato anche 19 anni prima, per la cosiddetta «fuga» di centinaia di migliaia di profughi palestinesi versi i paesi arabi confinanti. Ma di miracoloso nel 1948 e nel 1967 c’è stato ben poco.

«Molti israeliani rifiutavano di rinunciare all’originale sogno sionista…alcuni politici israeliani, incluso Ben Gurion, e diversi generali dell’Idf non avevano mai escluso un’azione militare per espandere lo Stato oltre la Linea Verde», ricorda lo storico israeliano Tom Segev nel suo «1967. Israel, the War, and the Year That Transformed the Middle East» contraddicendo la storiografia israeliana che ancora oggi accredita la versione della «sorpresa» radicando l’idea che la conquista dei Territori fosse una realtà che nessuno voleva. Dopo 54 anni, Adam Raz, ricercatore e storico dell’Istituto Akevot, riferisce sul quotidiano Haaretz che la documentazione storica conservata negli Archivi di Stato e negli archivi delle forze armate mette in forte dubbio la versione ufficiale israeliana.

Raz ha potuto leggere documenti declassificati che descrivono la preparazione fatta dalle forze armate israeliane negli anni precedenti al 1967, con l’intenzione di organizzare in anticipo il controllo di territori che sarebbero stati conquistati nella prossima guerra. «I meticolosi preparativi dell’Idf per conquistare i Territori risalgono all’inizio degli anni ’60», scrive Raz. Di primaria importanza è il documento dal titolo «Proposta per organizzare il governo militare», scritta nel giugno del 1961 dal capo delle operazioni, il colonnello Elad Peled. «Sei anni prima della Guerra dei Sei Giorni, la proposta forniva una dettagliata pianificazione delle forze necessarie per governare in quelli che sarebbero diventati i Territori occupati», afferma Raz, aggiungendo che due anni dopo, nell’agosto del 1963, lo stato maggiore agli ordini di Yitzhak Rabin, elaborò una direttiva sull’organizzazione del governo militare in territori che includevano la Cisgiordania, il Sinai, le alture siriane e Damasco e il Libano meridionale fino al fiume Litani.

Nell’«Ordine dell’organizzazione – Governo militare in stato di emergenza», si sottolineava che la spinta dell’Idf «a trasferire la guerra nei territori del nemico porterà inevitabilmente all’espansione e alla conquista di aree oltre i confini dello stato». Il documento affermava inoltre che sarebbe stato necessario installare in modo rapido un governo militare, perché «queste conquiste potrebbero durare solo per breve tempo e dovremo evacuare i territori in seguito alle pressioni internazionali o un accordo». Ma poi aggiunge che «potrebbe però svilupparsi una situazione politica conveniente che implichi mantenere il territorio occupato a tempo indeterminato».

Per questo, scrive Adam Raz, le forze armate hanno dato attenzione all’addestramento e alla preparazione delle unità e degli organi amministrativi che avrebbero governato la popolazione palestinese. E, non caso, a svolgere un ruolo centrale nei preparativi fu il colonnello Yehoshua Verbin, già capo del governo militare interno fino al 1966, che mise a disposizione la sua vasta esperienza nel controllo dei cittadini palestinesi di Israele. In Medio oriente di «miracoli», oltre quelli che si raccontano nei testi sacri, non se ne sono mai visti.