Anna Maria Merlo

PARIGI. Per François Hollande, “non c’è più tempo da perdere” di fronte all’avanzata dell’Isis in Iraq e all’ultima decapitazione di un occidentale, il britannico David Haines. Contemporaneamente all’apertura della conferenza internazionale sulla pace e la sicurezza in Iraq, ieri a Parigi, due Rafale francesi sono decollati da Abu Dhabi per una prima operazione di ricognizione militare, in attesa dell’inizio dell’attacco aereo. Il comunicato finale della conferenza parigina, a cui hanno partecipato 29 paesi e istituzioni internazionali, afferma che verranno usati “tutti i mezzi necessari” per sconfiggere l’Isis. E’ “una minaccia per la regione e per il resto del mondo. Il combattimento dell’Iraq è anche il nostro” ha affermato Hollande, impegnando in prima linea la Francia accanto agli Usa, undici anni dopo il gran rifiuto di Parigi di partecipare alla guerra in Iraq condotta da Washington e Londra. Fouad Massoum, il presidente iracheno che ha co-presieduto la conferenza con Hollande, ha definito le azioni di Daech (acronimo arabo per l’Isis) un “genocidio”, una “purificazione etnica”. Massoum non chiede uomini: “non abbiamo bisogno di soldati che si battono a terra in Iraq” ha affermato, precisando che “vogliamo un intervento sul piano logistico prima di tutto e in particolare interventi con mezzi militari”, cioè “interventi e copertura aerea”. La coalizione deve agire in fretta, per Massoum, “perché se l’intervento tarda, la forza di Daech occuperà altri territori e la minaccia sarà più grande”.

La conferenza avrebbe dovuto portare a una divisione dei compiti tra i paesi che partecipano alla guerra contro l’Isis. Ma l’equazione è a molte incognite e non sono bastate poche ore per vederci più chiaro. A Parigi, era presente il ministro degli esteri russo Lavrov, accanto al segretario di stato John Kerry. La Russia è un alleato contro gli jihadisti in Iraq, ma l’intesa si infrange in Siria. Russia e Cina minacciano il veto all’Onu su questo fronte, mentre gli Usa vogliono estendere l’intervento alla Siria, dove Daech controlla il 25% del territorio (oltre al 40% dell’Iraq). Gli europei sono più prudenti, in cerca di una giustificazione di legalità internazionale, trovata nel caso dell’Iraq, perché l’azione internazionale è reclamata dal governo di Bagdad. Hollande si è limitato a dire che bisogna sostenere “con tutti i mezzi l’opposizione democratica”. Il ministro degli esteri britannico, Philip Hammond, ha escluso in un primo tempo la partecipazione ad attacchi aerei in Siria, ma il premier David Cameron oscilla: “non escludo nulla”. L’intesa degli occidentali con la Russia è quindi sottoposta a vari punti ciechi: il rapporto con Assad, alleato di Mosca, che l’occidente vuole veder cadere e la crisi ucraina (ai margini della conferenza sull’Iraq, c’è stata una riunione sulla Ucraina tra i ministri degli esteri di Francia, Germania e Russia).

Altro punto cieco: il ruolo dell’Iran, che sta tornando ad essere la principale forza regionale. Hollande avrebbe voluto la presenza dell’Iran alla conferenza ma gli Usa (e l’Arabia saudita) hanno rifiutato. Da Teheran, l’ayatollah Khamenei ha affermato che Washington ha cercato una cooperazione contro Daech, “ma ho rifiutato, perché hanno le mani macchiante di sangue”. Invece, Teheran è disposta a una “discussione diplomatica”, che passa per la questione del nucleare iraniano. Altra incognita dell’equazione sono i paesi arabi. Una decina dovrebbero prendere parte alla coalizione. Ma anche in questo caso, c’è il problema siriano, dove Arabia saudita e Qatar sostengono forze rivali. Anche la Turchia rappresenta un’incognita: Ankara ha escluso la partecipazione ad operazioni armate, nel paese ci sono 1,5 milioni di rifugiati siriani, 46 turchi sono tenuti in ostaggio da Daech a Mossul e infine c’è la questione curda, con gli occidentali che forniscono di armi i peshmerga. Per non irritare la Turchia, la Francia esclude per il momento di fornire missili anti-carro (come invece ha intenzione di fare la Germania), mentre consegna armi e invia istruttori, preparandosi a un appoggio “di lunga durata” in Kurdistan iracheno. Federica Mogherini ha precisato che l’Italia non invierà aerei in Iraq, ma “armi e munizioni”. L’Australia ha inviato 8 aerei da guerra in una base degli Emirati per prendere parte alle operazioni.

Le difficoltà per tenere assieme la coalizione anti-Daech sono enormi, tanto più che nemmeno il campo occidentale è perfettamente unito: oltre alle reticenze europee sull’ipotesi di un intervento in Siria, c’è la tensione Usa-Francia sul pagamento dei riscatti per gli ostaggi, con Obama che a mezza voce ha accusato Parigi di pagare. “Noi non paghiamo” si è limitato a dire il ministro degli esteri Laurent Fabius.

La lotta al terrorismo comincia a limitare le libertà a casa nostra. Ieri, è stata presentata in Francia una legge che permetterà azioni di repressione preventiva contro sospetti jihadisti, con possibilità di bloccare anche siti Internet. La Francia importa lo spirito del Patriot Act, con la giustificazione che già 930 francesi hanno o stanno combattendo per la jihad in Siria e c’è il rischio che, al ritorno, compiano atti terroristici (come il francese Mehdi Nemmouche, che il 24 maggio scorso ha ucciso 4 persone al museo ebraico di Bruxelles).

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