Dopo 148 giorni di conflitto, il presidente filippino Rodrigo Duterte ha annunciato ieri a sorpresa la liberazione della città di Marawi dai terroristi islamici ispirati da Isis. Una dichiarazione «simbolica», ha specificato il portavoce delle Armed Forces of Philippines (Afp), l’esercito regolare che dal 23 maggio scorso ha assediato la capitale della provincia di Lanao del Sur, nell’arcipelago meridionale di Mindanao, catturata da una nuova cellula terroristica islamica fondata dall’unione di due gruppi autoctoni: Abu Sayyaf, guidato da Isnilon Hapilon, e il Maute Group, fedele ai fratelli Omar e Abdullah Maute.

Nonostante ci siano ancora un manipolo di miliziani nella città, si ritiene che Duterte abbia deciso di sbilanciarsi in seguito alla conferma, arrivata nei giorni scorsi, della morte di Hapilon e di Omar Maute negli scontri a fuoco con i soldati, che va ad aggiungersi a quella di Abdullah Maute, diffusa all’inizio di settembre dai media filippini. Con la morte dei tre leader principali dell’insurrezione, le autorità sono ora pronte a bonificare gli ultimi settori della città occupati dai miliziani e, entro pochi giorni, a dare inizio alla ricostruzione. Un progetto su cui l’amministrazione Duterte gioca molta della propria credibilità nella regione, dopo i bombardamenti con cui ha raso al suolo gran parte della «città più musulmana delle Filippine».

In quasi cinque mesi di conflitto e più di mille morti tra terroristi – più di 800 – e soldati – più di 150 –, nei dintorni di Marawi sono ancora accampati decine di migliaia di sfollati, senza contare le centinaia di migliaia di cittadini fuggiti dal conflitto e ospitati da parenti o amici nelle zone limitrofe. Entro la fine del mese, secondo Manila, le autorità stileranno un rapporto sulla valutazione dei danni alla città, per poi stabilire l’entità del budget e la timeline della ricostruzione.