«Moratoria al fine di rinegoziare l’intero programma (degli F35) per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget originariamente previsto». Adesso è un documento ufficiale approvato dalla commissione difesa della camera. Con il voto contrario del Pdl e della Lega, l’astensione di M5S e Sel e il sì autosufficiente del Pd. Contiene l’annunciato stop all’acquisto dei costosissimi caccia americani, ma importanti novità come un freno al programma supertecnologico cosiddetto Forza Nec. Dove, hanno scoperto i deputati al termine di un’indagine durata dieci mesi, sono stati stanziati oltre 20 miliardi di euro per equipaggiare l’esercito con apparecchiature di collegamento digitale (appalto Selex) senza preoccuparsi che il sistema fosse compatibile con la Nato e gli altri paesi Ue.

Il documento mette in fila le ragioni per le quali il programma F35 non è convincente, innanzitutto quelle economiche. A parte i costi mai esattamente quantificati (oltre 100 milioni per veivolo) e calcolati al netto della spesa per gli armamenti, c’è una preoccupazione per la «dipendenza operativa» conseguente all’acquisto dei jet Lockheed Martin. Come dire che il software centralizzato consentirebbe ad altri di «spegnere» gli aerei italiani. Anche dal punto di vista dei ritorni occupazionali, i deputati della commissione difesa hanno fatto bene i calcoli. Gli addetti di Cameri, dove si costruiranno le ali dell’F35, risultano «solo parzialmente sostitutivi» di altri già occupati nel settore aeronautico. L’F35 in definitiva non garantisce sufficienti ritorni economici, mentre il caccia europeo Eurofighter offre un recupero «in nessun caso inferiore alle quote di investimento». E così la commissione spinge per non abbandonare quel programma, adottato da Austria, Spagna, Germania e Inghilterra (la Francia utilizza un’altra versione dello stesso veivolo). Il testo approvato ieri richiama l’Italia a una decisa scelta di integrazione militare europea.

Nel documento si rivendica il ruolo centrale del parlamento nella decisione sugli investimenti nei sistemi d’arma. E si rende pubblico un dettaglio troppo spesso ignorato nelle discussioni sulla spesa militare: a oggi le Forze armate italiane spendono troppo per l’acquisto di armi. Che dovrebbero incidere per il 25% sul bilancio totale della difesa, ma superano questa percentuale se si calcolano gli investimenti «nascosti» nel bilancio di altri ministeri (come gli oltre due miliardi assegnati allo sviluppo economico). Proprio l’esigenza di una spesa più trasparente sta alla base della proposta, approvata, di costituire un’autorità di garanzia per il controllo degli investimenti militari (sull’esempio di altri paesi), per spezzare quel «circuito chiuso rappresentato dai vertici industriali e dai vertici militari». Di più, il documento sottolinea l’esigenza di una legge che limiti i conflitti di interesse, e cioè il troppo frequente «passaggio dai vertici militari a quelli delle industrie della difesa». E si potrebbe aggiungere un’occhio alle parentele degli alti gradi militari.

Approvato il documento in commissione difesa, resta da vedere quale seguito avrà. Il governo deciderà di ascoltare il parlamento dimezzando gli acquisiti di aerei (90 quelli in programma)? Ondivaga negli annunci, la ministra Pinotti in passato ha detto di voler attendere le conclusioni dell’indagine parlamentare, che adesso ci sono. Ma, convocata al Quirinale per il Consiglio supremo di difesa, ha annunciato di voler rimandare ogni decisione al Libro bianco della difesa, classico strumento per spostare in un altro momento e in un’altra sede la scelta. Ieri ha confermato questa impostazione, ridimensionando l’atto parlamentare a mero «contributo importante che valuteremo». Per lei il «metodo serio» è il Libro bianco. Non per niente nel documento approvato ieri sta scritto che «è intenzione della commissione interagire attivamente alla redazione del Libro bianco, che dovrà essere votato dal parlamento». I vertici militari, che si preparano a scriverlo, non sono ovviamente della stessa opinione. Il capogruppo in commissione del Pd Scanu si dice convinto che il documento approvato ieri diventerà una risoluzione dell’aula della camera «entro giugno» (non prima delle elezioni europee come chiesto dal M5S). E a Pinotti ricorda che «il Libro bianco della repubblica parlamentare italiana non è quello della repubblica presidenziale francese». Alludendo forse al ruolo del Quirinale, che com’è noto è assai poco incline a ridimensionare il programma F35. Prova a gettare acqua sul fuoco il vicesegretario del Pd Guerini, secondo il quale «l’esistenza di un contrasto tra il governo e il Pd è pura fantasia». Ma le cose non stanno così, e il presidente della commissione difesa Latorre, anche lui Pd, lo dimostra: «Scanu la smetta di attaccare il governo». Tocca a Renzi.