Mentre Cinecittà compie 80 anni e anche parecchi dei film presenti alla Mostra dimostrano i segni del tempo dissolvendo nella demenza senile i vaghi ricordi dei battaglieri anni Sessanta e Settanta, separando coppie inossidabili nell’immaginario, non fosse per lo spirito rimasto intatto del (restaurato) Asso di picche di Milos Forman, si direbbe che tutto è andato perduto. Anche in La villa Robert Guédiguian procede a un progetto di demolizione, ma salva alcune premesse non trattabili e ci riesce attraverso il suo stile tanto personale da aver costituito una delle poche risposte in Europa al neoliberalismo selvaggio in film come Marius et Jeannette, A’ l’attaque o La ville est tranquille resoconti non cronachistici delle sperimentazioni e delle lotte, cadute, solidarietà di classe e tentativi di sopravvivenza del proletariato.

Il regista di Marsiglia chiama a raccolta la sua compagnia di attori (la moglie Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darrousin, Gérard Meylan non più all’Estaque, il quartiere comunista dove sperimentare le comuni, ma attorno in una baia vicino alla città che fa gola agli speculatori del turismo di élite, nella villa di proprietà di un ristoratore colpito da un ictus e paralizzato su una sedia a rotelle. È l’occasione per i suoi figli di ritrovarsi dopo tanto tempo e smorzare rivalità, amarezze e duri colpi della vita. Anche qui la vecchiaia incombe minacciosa, insieme al cambiamento dei tempi, alla perdita degli ideali e delle certezze.

Mentre la vita scivola via, tra una scena e l’altra ecco apparire come pietre lanciate, come fardelli di cui disfarsi, le convinzioni di un tempo che ora hanno assunto il sapore della sconfitta. Sulla costa presidiata dai soldati a caccia di migranti qualcosa si può ancora fare, gestire il ristorante a prezzi politici, sistemare il sentiero che porta alla macchia per evitare gli incendi e salvaguardare gli animali che la abitano e inaspettatamente salvare dall’orfanotrofio tre fratellini arrivati dal mare e nascosti nel bosco.

È una questione di stile, il racconto ti fa immergere senza fiato e poi risalire in superficie: Guédiguian agisce sui personaggi anche con dialoghi perentori proposti con forza, alle volte perfino declamati che smorzano ogni possibile tono moralistico ma ne enfatizzato il lato di «compagnia teatrale». E lo spezzone tratto da uno dei suoi primi film dove i tre attori erano ragazzi, arriva come un sorriso in un momento cruciale a dare insieme speranza e coraggio, il senso del cambiamento e un’indicazione precisa.