L’8 marzo, in Guatemala, uno spaventoso incendio nella casa-famiglia Hogar Seguro, un istituto pubblico, ha tolto la vita a 41 adolescenti. Un «femminicido di Stato», accusa il movimento delle donne. Ne abbiamo parlato con Gerard Lutte, fondatore del Movimiento de Jovenes de la Calle (Mojoca), a Città del Guatemala. A lungo professore di psicologia degli adolescenti e dei giovani (Pontificio Ateneo Salesiano, la Sapienza e ora alla Facoltà di scienze della Formazione dell’Ipu di Montefiascone), Lutte ha partecipato ai movimenti di base negli anni ’60-70 (in particolare nella baraccopoli di Prato Rotondo a Roma), in ambito universitario e nella chiesa cattolica. In Nicaragua ha collaborato con i giovani lavoratori sandinisti, del Joc.

Cos’è successo nella casa-famiglia Hogar Seguro?

Il Guatemala sta vivendo giorni di tristezza, di rabbia, di ribellione per la trage di 41 ragazze tra i 13- 17 anni in un’istituzione statale deputata a educare e proteggere i minori da 0 ai 17 anni che vivevano per strada, avevano subito maltrattamenti e violenze in famiglia o che ne erano fuggiti, oppure erano orfani o abbandonati. A volte, venivano mandati lì dai genitori senza risorse, oppure dai giudici perché con precedenti penali. Minori provenienti da famiglie povere, spesso disintegrate. Avrebbero avuto bisogno di rispetto, attenzione, tenerezza, educazione professionale, sostegno psicologico. Anziché piccole case-famiglie come sarebbe stato necessario, il governo ha costruito una struttura per 500 minorenni che però ne conteneva oltre 700 e in condizioni subumane, sottoposti a gravi e continue violazioni. Il pomeriggio del 7 marzo, alcune adolescenti della sezione chiamata «Mi Hogar» – in cui la maggior parte delle ragazze aveva subito e denunciato stupri – si è ribellata e ha chiesto aiuto ai ragazzi della sezione maschile. Il personale, spaventato, ha aperto le porte e invitato gli adolescenti ad andarsene. Una sessantina di loro si sono nascosti nei burroni e nei boschi circostanti. Il presidente della Repubblica, Jimmy Morales, è stato immediatamente avvertito di quanto stava succedendo nell’istituto, che dipende dalla Segreteria del Benessere Sociale della Presidenza e ha ingiunto alla polizia di mantenere l’ordine e riprendere i fuggitivi. I poliziotti ne hanno ritrovato una trentina e, secondo le testimonianze, li hanno insultati e maltrattati. Alle 22 li hanno portati all’ingresso dell’istituto e sono stati costretti a rimanere fuori fino all’una di notte. E poi non li hanno fatti andati nelle loro stanze. Si sa che dalle 52 alle 60 ragazze sono state chiuse a chiave in un’aula di circa 16 metri quadrati senza servizi igienici mentre i ragazzi sono stati portati nell’auditorio. Sono stati distribuiti materassi sotto l’occhio della polizia (poliziotte, per le ragazze). Alle sette del mattino hanno passato la colazione ma alle ragazze che chiedevano di andare al bagno le poliziotte rispondevano: «che marciscano». Le ragazze si sono ribellate di nuovo, rompendo i vetri. Secondo le testimonianze di tre sopravvissute, una ha messo un materasso sotto la finestra e gli ha dato fuoco. Il materasso è caduto sugli altri e il fuoco si è propagato. La temperatura è arrivata ai 900° centigradi. Sentendo le urla di aiuto delle compagne, i ragazzi sono riusciti ad aprire la porta e sono accorsi, ma i poliziotti li hanno respinti a calci. Le poliziotte non si sono mosse, guardavano e le insultavano dicendo «Che soffrano le disgraziate, così come sono state brave a fuggire siano brave a sopportare il dolore». Un’altra sopravvissuta racconta di essere svenuta e che quando ha ripreso i sensi, la porta era aperta e si trovava con metà del corpo fuori e la testa dentro e di essersi alzata a fatica nonostante le bruciature, mentre la polizia la picchiava. Ricorda le urla delle compagne, morte carbonizzate. Altre 21 moriranno nei giorni successivi, e il loro numero potrebbe aumentare. I familiari delle vittime non sono stati avvertiti. Nonostante la promessa della Secretaria de Bienestar Social, non hanno ricevuto aiuto per i funerali. Il presidente della Repubblica non ha avuto tempo per recarsi sul luogo dell’incendio e si è accontentato di proclamare un inutile lutto di tre giorni.

Una tragedia annunciata…

Sì. Molti sapevano che quel luogo era un «lager» fin da quando l’ex generale Otto Pérez Molina, nel 2012, è diventato presidente del Guatemala. E la situazione non è migliorata con l’ex comico Jimmy Morales. Erano già state presentate 45 denunce. La procura dei Diritti Umani, la Procura Generale della Nazione, il Consiglio Nazionale dell’Adozione, il Ministero Pubblico e l’Istituto Nazionale delle Scienze Forensi, l’Unicef avevano denunciato le condizioni inumane nelle quali vivevano i minorenni e alcuni avevano chiesto la chiusura dell’istituto. L’avvocata Paula Barrios, direttrice dell’organismo Donne che trasformano il mondo, ha denunciato la sparizione di 200 ragazze tra il 2012 e il 2016, e ha chiesto la chiusura dell’Hogar Seguro. La lista dei delitti contro i neonati, bambine, bambini e adolescenti è un elenco di orrori inimmaginabili: maltrattamenti fisici e psicologici, alimentazione insufficiente o avariata; violenze, stupri, torture, tratta. Sono già stati condannati un maestro che obbligava ragazzi della quinta e sesta elementare a fare sesso orale per poter uscire dalla classe e un muratore che ha violentato una ragazza disabile. Ora la Procura indaga sui diversi tipi di delitti come il femminicidio e la tratta. Dalle autopsie si cerca di determinare se le ragazze carbonizzate siano state drogate e violentate. Il 13 marzo sono stati arrestati alcuni funzionari e responsabili della casa famiglia con l’accusa di omicidio colposo, inadempimento dei doveri e maltrattamento sui minori. Il 15 il presidente Morales è stato denunciato per tortura, esecuzioni extragiudiziarie, abuso di autorità e violazione dei doveri dai deputati Sandra Moran e Leocadio Juracán, del partido Convergencia.

Qual è la politica del governo per i minori?

Non esiste. Non ci sono soldi, perché Governo e Parlamento rifiutano di far pagare le tasse ai ricchi. Proprio in quei giorni, la maggioranza del Parlamento ha votato a favore degli gravi fiscali per i latifondisti e gli allevatori di bestiame, che sono tra i settori più reazionari dell’oligarchia. In America, il Guatemala è il paese dove le tasse per loro sono le più basse. La gran maggioranza della popolazione vive in povertà estrema e molti nella miseria; una grande parte vive in abitazioni insalubri e non ha accesso a una buona educazione. Molti giovani non hanno sufficiente istruzione e un lavoro dignitoso, si rifugiano nelle droghe o fanno parte di bande violente. La politica è di aggressione e repressione, non di prevenzione e di accompagnamento. Le associazioni come il Mojoca non ricevono finanziamenti.

Qual è la situazione politica in Guatemala dopo il movimento de las antorchas e lo scandalo denominato La Linea?

Ad aprile del 2015, è iniziata «la primavera guatemalteca», abilmente indotta dall’ambasciata Usa per realizzare il patto di prosperità nel triangolo nord (Guatemala, El Salvador e Honduras): per creare impiego e contenere le emigrazioni di massa verso gli Stati uniti. Hanno giocato un ruolo importante la Comisión Internacional Contra la Impunidad en Guatemala (Cicig) organo dell’Onu guidato dal giudice colombiano Iván Velázquez, e il Pubblico Ministero, amministrato dalla procuratora Generale Thelma Aldana. Le reti sociali che hanno diffuso le notizie della corruzione alla dogana, sono riuscite a mobilitare migliaia di persone, soprattutto delle classi medie urbane che hanno portato alla rinuncia e all’arresto del Presidente Otto Perez Molina, della Vicepresidente Roxana Baldetti Elías e di altri funzionari e vari imprenditori. Un duro colpo al potere oligarchico mafioso che domina il paese. La situazione si è sviluppata molto in questi ultimi mesi. Come scrive il professor Mario Sosa, tra le forze che si fronteggiano attualmente sulla riforma costituzionale, si possono indicare tre poli o convergenze di forze sociali e politiche, coagulate per difendere interessi diversi. C’è il potere che da secoli domina il paese, il potere oligarchico, mafioso, razzista, capeggiato dal Cacif, l’associazione coordinatrice di diversi settori imprenditoriali. In questo gruppo si trovano anche associazioni di veterani militari che parteciparono al genocidio negli anni ’80 e organizzazioni criminali, narcotrafficanti. Ricevono spesso appoggio da imprese multinazionali. Questo gruppo ha portato alla presidenza sia Molina che Morales e i loro partiti, il Partido Patriota e ora il partito Fcn-Nación. Il secondo polo di destra moderata riformista è capeggiato dall’ambasciata Usa con la collaborazione della Cicig, del Pubblico ministero, della Procura dei Diritti umani, del Ministro degli Interni e dell’Agenzia delle Entrate. Questo gruppo ha perso potere dopo l’elezione di Morales con la maggioranza dei deputati che controlla il Parlamento, eletti tra i partiti mafiosi come il Parttito Pattriotico di Molina, e il Partito Lider di Manuel Baldizón e altri partiti di destra alleati. In questo modo, Morales è riuscito a far eleggere una giunta Direttiva del congresso che sostiene la politica del suo governo. Il terzo polo lo potremmo chiamare popolare, multietnico. In questa convergenza troviamo molti gruppi eterogenei, associazioni in difesa dei diritti umani, associazioni indigene, educative, sindacali, fondazioni, ong. Tra questi emergono il Gran Consejo de Autoridades Ancestrales, e l’Assemblea Sociale e Popolare, creata nell’Università di San Carlos per coordinare le associazioni che hanno partecipato alla primavera guatemalteca con l’obiettivo di avviare una riforma radicale dello Stato. Questi gruppi non sono riusciti a unirsi e organizzarsi per poter ottenere un’influenza a livello nazionale. Anche nell’atroce tragedia della casa-famiglia statale, si contrappongono questi tre gruppi di potere. Il polo mafioso, responsabile del massacro, il gruppo riformista che attraverso il Ministero Pubblico cerca di scoprire e punire i colpevoli; il polo popolare che esige una riforma radicale dello Stato ma in modo disorganizzato e poco efficace. Diversi gruppi convocano assemblee e manifestazioni, ma non emerge un coordinamento di tutte queste associazioni. In Belgio, nel 1996, un caso più limitato di un pedofilo che sequestrò e assassinò alcune bambine provocò una reazione massiccia e una marcia di oltre trecentomila persone nella capitale. Avrei desiderato una mobilitazione di grandezza simile in questo paese che amo e col quale mi identifico.

Come ha reagito il Mojoca?

Con stupore, rabbia e tristezza. Le adolescenti bruciate vive erano compagne dei giovani del Mojoca. Vivevano negli stessi ambienti, con gli stessi problemi di povertà e di esclusione. Madelyn, 15 anni e la sorellina, sono passate dal Mojoca, hanno vissuto nella Casa 8 Marzo e sono state reinserite nella loro famiglia. Poi, purtroppo, un giudice ha affidato Madelyn alla casa-famiglia maledetta, dov’è stata bruciata viva. Jacqueline, 15 anni, è fuggita sette volte da quel posto di morte e per fortuna si è riconciliata con la nonna ed è andata a vivere con lei. Faceva parte della sezione Mi Hogar dove ebbe inizio la giusta protesta delle adolescenti contro i loro aguzzini. La strada può essere violenta quando ti picchiano i poliziotti, quando ti uccidono i sicari, ma nei gruppi di strada le ragazze e i ragazzi trovano una famiglia che li protegge, che li appoggia, che li rispetta. Il Mojoca è un Movimento diretto e autogestito dalle ragazze e dai ragazzi che vivono o hanno vissuto in strada. Il metodo educativo è basato sull’Amicizia, nel rispetto della loro dignità e della loro libertà. Nel Mojoca, le ragazze e i ragazzi si organizzano per difendere i loro diritti, migliorare la loro qualità di vita, contribuire alla costruzione di una società più giusta ed equa, fraterna. Nel Mojoca, le bambine, i bambini e gli adolescenti trovano un appoggio per realizzare i loro sogni e molti sono già usciti dalla strada e si sono integrati nella società. Il Mojoca partecipa al Movimento Popolare guatemalteco e internazionale. In questi giorni si unisce alla protesta di altre organizzazioni contro i femminicidi dell’8 marzo, compiuti proprio mentre, nella capitale, il movimento protestava contro violenze, discriminazioni e femminicidi.